Un nuovo studio pubblicato su Hypertension, la rivista dell’American Heart Association, suggerisce qualcosa che potrebbe sorprendere molti: il dolore cronico può aumentare in modo significativo il rischio di sviluppare ipertensione e non si tratta solo di “quanto fa male”, ma anche di dove si localizza il dolore, per quanto tempo dura e se si accompagna a sintomi depressivi o infiammatori.

I ricercatori hanno analizzato i dati di oltre 200.000 adulti e hanno scoperto che chi soffre di dolore diffuso in tutto il corpo presenta un aumento del rischio del 75% di sviluppare pressione alta rispetto a chi non riporta dolore. Anche dolori più “localizzati” o temporanei mostrano comunque un impatto misurabile.
Perché il dolore influisce sulla pressione?
Secondo l’autrice principale dello studio, Jill Pell (Università di Glasgow), parte del collegamento tra dolore cronico e ipertensione passa attraverso due fattori chiave:
- depressione, più frequente in chi soffre di dolore da lungo tempo;
- infiammazione, misurata tramite valori elevati della proteina C-reattiva (CRP).
Entrambi sono già noti per aumentare il rischio di pressione alta, ma finora non era stato chiarito quanto contribuissero nel contesto del dolore cronico.
“Individuare e trattare precocemente la depressione nelle persone con dolore potrebbe aiutare a ridurre il rischio di ipertensione”, sottolinea Pell.
Che cos’è l’ipertensione e perché è un problema serio
L’ipertensione è una condizione in cui il sangue esercita una pressione eccessiva sulle pareti dei vasi sanguigni ed è estremamente comune: negli Stati Uniti riguarda quasi un adulto su due.

Secondo le linee guida 2025 dell’American Heart Association e dell’American College of Cardiology, è anche la principale causa di morte cardiovascolare a livello globale.
Capire come fattori “non tradizionali”, come il dolore cronico, contribuiscano alla pressione alta aiuta a migliorare prevenzione e strategie terapeutiche.
Come è stato condotto lo studio
I dati provengono dalla UK Biobank, una delle più grandi banche dati sanitarie al mondo.
In totale sono stati analizzati 206.963 adulti (età media: 54 anni; 62% donne).
I partecipanti hanno indicato:
- se avevano avuto dolore nell’ultimo mese;
- dove era localizzato (testa, viso, collo/spalle, schiena, addome, anche, ginocchia o diffuso);
- se durava da almeno tre mesi (definizione di “dolore cronico”).
Sono stati raccolti anche indicatori di:
- depressione (tramite questionario clinico);
- infiammazione (tramite proteina C-reattiva);
- fattori di stile di vita come fumo, alcol, attività fisica, ore di sonno e alimentazione.
Il follow-up medio è stato di 13,5 anni.
I risultati principali
Dopo più di un decennio di osservazione:
- quasi il 10% dei partecipanti ha sviluppato ipertensione;
- rispetto a chi non aveva dolore:
- dolore cronico diffuso: +75% di rischio;
- dolore cronico in un solo punto: +20%;
- dolore temporaneo: +10%.

Analizzando le zone del corpo:
- dolore diffuso: +74%
- dolore addominale: +43%
- mal di testa cronico: +22%
- dolore collo/spalle: +19%
- dolore all’anca: +17%
- mal di schiena: +16%
Depressione e infiammazione spiegano circa il 12% della relazione dolore: pressione alta.
Il commento degli esperti
Il dottor Daniel W. Jones, presidente delle linee guida americane 2025 sull’ipertensione, sottolinea che:
- è risaputo che il dolore acuto aumenta temporaneamente la pressione;
- molto meno chiaro era l’effetto del dolore cronico;
- lo studio dimostra che più sedi dolorose = maggior rischio, con un ruolo importante di infiammazione e depressione.
Jones ricorda anche un punto cruciale: molti farmaci da banco usati per il dolore (FANS, come ibuprofene) possono aumentare la pressione e vanno gestiti con attenzione.

Limiti dello studio
Gli autori segnalano alcune limitazioni:
- la maggior parte dei partecipanti era composta da adulti bianchi britannici;
- il dolore era auto-riferito e valutato una sola volta;
- la pressione alta è stata identificata tramite diagnostica clinica standard.
Nonostante ciò, l’ampiezza del campione e la durata del follow-up rendono i risultati particolarmente solidi.
Cosa significa per chi soffre di dolore
La conclusione pratica è chiara: Gestire il dolore cronico non serve solo a migliorare la qualità della vita e può anche ridurre il rischio di ipertensione e complicanze cardiovascolari.
Riconoscere precocemente dolore, depressione e infiammazione può aiutare medici e pazienti a intervenire prima che si sviluppino conseguenze più serie.