Il gene mutante DJ-1 è noto per causare una forma recessiva del morbo di Parkinson, ma il meccanismo molecolare alla base di questo processo non è stato ancora completamente compreso. Recenti ricerche, tuttavia, stanno iniziando a far luce su come agisca, aprendo nuove prospettive per la comprensione e il trattamento di questa malattia neurodegenerativa.

Il ruolo enigmatico di DJ-1 nel morbo di Parkinson
Il gene DJ-1/PARK7 è strettamente associato alla forma familiare recessiva del morbo di Parkinson e codifica per la proteina DJ-1. Questa proteina è ritenuta possedere diverse attività biochimiche, tra cui potenziali proprietà antiossidanti che proteggono le cellule dal danno mitocondriale. Nonostante gli siano stati attribuiti molteplici ruoli, come quello di chaperone regolato da ossidoriduzione, regolatore trascrizionale, gliossalasi, cisteina proteasi e idrolasi dell’anidride 3-fosfoglicerica ciclica (cPGA), la sua funzione esatta è rimasta a lungo ambigua.
Alcuni dati suggeriscono che il suo ruolo primario potrebbe essere quello di idrolasi del cPGA, un metabolita cellulare altamente reattivo e tossico. Questa funzione enzimatica si adatta perfettamente alla sua struttura molecolare e la sua attività esterasica precedentemente riportata potrebbe effettivamente riflettere il suo coinvolgimento nell’idrolisi del cPGA. L’instabilità del cPGA ha reso difficile studiarlo come substrato, limitando finora la comprensione del suo ruolo
nella conversione di questo prodotto secondario tossico della glicolisi in 3-fosfoglicerato (3PG) detossificato.

Per risolvere questo enigma, un team collaborativo di ricercatori giapponesi, guidato dal professor Noriyuki Matsuda e dal professore associato Yoshitaka Moriwaki dell’Institute of Integrated Research, Institute of Science Tokyo (Science Tokyo), ha intrapreso uno studio innovativo. Combinando simulazioni molecolari con analisi biochimiche, inclusi test mutazionali, hanno rivelato il meccanismo catalitico attraverso il quale DJ-1 idrolizza il cPGA. Questo lavoro non solo conferma il suo ruolo cruciale nella patogenesi del morbo di Parkinson ereditario, ma, rivelando gli amminoacidi coinvolti nella sua attività catalitica, getta anche le basi per futuri studi funzionali approfonditi.
Analisi strutturali e simulazioni molecolari
La comprensione di come le mutazioni nel gene DJ-1 portino al morbo di Parkinson è stata a lungo ostacolata. In particolare, le analisi mutazionali si erano concentrate quasi esclusivamente sul residuo C106, e mancavano modelli strutturali sia per il complesso cPGA-DJ-1 che per il meccanismo idrolitico. Questa lacuna ha rappresentato la motivazione principale dietro un recente studio fondamentale.
Per svelare i meccanismi molecolari alla base dell’attività dell’idrolasi del cPGA, il team di ricerca ha esaminato la struttura di DJ-1 complessata con cPGA. Attraverso simulazioni di dinamica molecolare di questo complesso, sono stati identificati gli amminoacidi chiave nella tasca di legame, essenziali per il riconoscimento e il legame con il cPGA.

Successivamente, questi residui amminoacidici sono stati mutati per chiarire il meccanismo molecolare dell’idrolisi del cPGA. Gli esperimenti hanno rivelato che i residui E15 ed E18 sono fondamentali per la formazione della tasca di legame catalitica e per stabilire legami a idrogeno con la molecola di cPGA. I residui G74, G75 e C106 partecipano alla stabilizzazione e alla formazione di un intermedio tetraedrico nel percorso di reazione. Inoltre, A107 determina la formazione di legami a idrogeno con specifici gruppi molecolari sul cPGA, mentre P158 è cruciale per la formazione delle tasche di legame del cPGA.
È di notevole importanza che i ricercatori abbiano dimostrato come la delezione di P158 e le mutazioni missenso in A107, riscontrate anche nella malattia di Parkinson ereditaria, abbiano completamente annullato l’attività di idrolisi del cPGA da parte di DJ-1 in vitro. Questo risultato conferma le zue profonde implicazioni patofisiologiche. Sulla base di queste scoperte, il team ha proposto un nuovo modello di reazione molecolare a sei fasi per la sua attività idrolasica, fornendo una comprensione senza precedenti di questo processo cruciale.
Implicazioni per la comprensione del morbo di Parkinson
Per approfondire la rilevanza fisiologica di DJ-1 e confermare la sua importanza nel contesto cellulare, il team di ricerca ha condotto un’analisi comparativa cruciale. Hanno messo a confronto l’attività di idrolisi del cPGA (anidride 3-fosfoglicerica ciclica) in cellule wild-type, che lo esprimono normalmente, e in cellule knock-out per DJ-1, dove il gene è stato inattivato. I risultati sono stati significativi e illuminanti.

Nelle cellule prive, l’attività dell’idrolasi del cPGA è risultata essere significativamente ridotta. Questa diminuzione non è un mero dettaglio biochimico; essa porta a una conseguenza diretta e dannosa per la cellula: l’accumulo di metaboliti modificati dal cPGA. Questi metaboliti, altamente reattivi e potenzialmente tossici, possono causare danni cellulari e contribuire alla patogenesi di diverse malattie.
Questo dato supporta fortemente l’ipotesi che, tra tutti i substrati precedentemente proposti per DJ-1, il cPGA sia il suo bersaglio fisiologico primario. Ciò implica che le mutazioni osservate nel gene, specialmente quelle associate al morbo di Parkinson ereditario, potrebbero comportare una completa perdita della funzione di degradazione del cPGA, permettendo a questo metabolita tossico di accumularsi e danneggiare le cellule neuronali.

In sintesi, le scoperte di questo studio offrono una chiara direzione per la ricerca futura sul morbo di Parkinson. Moriwaki e Matsuda riassumono l’importanza del loro lavoro affermando: “Riteniamo che il modello molecolare presentato nella nostra ricerca fornirà solide intuizioni per futuri studi funzionali e migliorerà la nostra comprensione della patogenesi che porta al morbo di Parkinson ereditario”. Questo sottolinea come la comprensione dettagliata del meccanismo di idrolisi del cPGA da parte di DJ-1 possa aprire nuove strade per lo sviluppo di strategie terapeutiche mirate, potenzialmente in grado di contrastare l’accumulo di metaboliti tossici e rallentare la progressione della malattia.
Lo studio è stato pubblicato sul Journal of Cell Biology.