Eccoci all’8 ottobre — un giorno che non è casuale, ma scelto con cura — una data dove nel Mondo o almeno in molte sue piazze, monumenti, spazi istituzionali si colorano di turchese. Questo non per moda, non per semplice estetica bensì per accendere una luce sulla dislessia, portarla da margine a centro di dialogo, abbattere la distanza tra chi sa, chi immagina, chi subisce in silenzio.
Quando il mondo decide di vestirsi di turchese

Ogni colore ha una voce, un messaggio che può farsi cielo o grido, il turchese di oggi, è la bandiera di chi vuole parlare di dislessia — non come tabù, non come diversità da nascondere, ma come sfida e potenzialità.
Le associazioni internazionali Disfam e OIDEA, insieme alla European Dyslexia Association, hanno promosso la campagna “Uniti per la dislessia”, nella quale monumenti, palazzi, piazze in tutto il mondo si illuminano di turchese per richiamare l’attenzione sul tema, anche in Italia, dove l’Associazione Italiana Dislessia (AID) aderisce con convinzione.
Non si tratta solo di luci o colori: si tratta di dare visibilità a qualcosa che troppo spesso resta nell’ombra, nel silenzio delle difficoltà invisibili, dove il punto non è mostrare le cicatrici, bensì rivelare il meccanismo della ferita, affinché le persone — singole, istituzioni, scuole, famiglie — possano riconoscerla, comprenderla, intervenire.
Immagina di camminare in una città e, all’improvviso, alzare lo sguardo e vedere una piazza che s’illumina di turchese, in quel momento la città racconta una storia, non solo una campagna simbolica, ma un invito: “Guarda, ascolta, informati”. Qualcosa si apre, la curiosità, o magari la sensazione che «forse conosco una persona che…», un piccolo crepaccio che può dischiudere dialogo.
Che cos’è questa giornata mondiale della dislessia
L’8 ottobre non è una data qualunque, è stata scelta con l’obiettivo di concentrare in un giorno una riflessione collettiva. È un “giorno riferimento” (simile ad altri giorni dedicati a temi sociali) che ha la funzione di far convergere attenzioni, media, istituzioni, cittadini, associazioni, scuole, non basta una campagna simbolica.
In questo contensto, l’illuminazione di un monumento è un gesto che attira l’occhio, ma il vero lavoro — quello che dura — è quello dell’ascolto, dell’informazione, del cambiamento di percezioni errate.

In Italia, AID sposa l’iniziativa con forza, invitando tutti a partecipare, non solo ad ammirare edifici turchesi, ma a scattare foto, condividere sui social, usare l’hashtag #unitiperladislessia, taggare l’associazione, tenere vivo il discorso. Dietro l’azione pubblica — i monumenti che cambiano di luce — c’è il desiderio che ciascuno possa capire che la dislessia non è una parola astratta, né un’etichetta da affibbiare, ma un fenomeno concreto: comporta difficoltà, ma anche percorsi, diritti, strumenti.
Nel racconto pubblico che nascerà oggi, ci saranno non solo i simboli luminosi ma anche (e soprattutto) le storie, quelle delle persone con disturbi specifici dell’apprendimento (DSA), di insegnanti che cercano metodi inclusivi, di famiglie che si interrogano, di istituzioni che cercano adeguamenti normativi.
Perché l’8 ottobre ha senso — tra simbolo e scienza
Se volessimo ridurre la questione a una mera campagna visiva, faremmo torto al tema. Dietro questa scelta c’è un filo che connette simbolo e scienza, la scienza dei DSA (dislessia compresa) ci dice che non si tratta di pigrizia, disattenzione, o di “voler essere diversi”: la dislessia è un disturbo specifico dell’apprendimento, una modalità diversa — neurologica, cognitiva — di elaborazione dei simboli, delle lettere, dei suoni.
Non è un deficit di intelligenza, ma una dissimmetria nel come cervello e sistema linguistico si mettono in sincronia (quel “tempo” di decodifica che per molti è naturale, per altri è un percorso lento, tortuoso), con la ricerca cognitiva e neuroscientifica che negli ultimi decenni ha prodotto conoscenze che permettono di riconoscere, valutare, intervenire.
Ma la scienza da sola non basta. Il simbolo — illuminare un monumento, cambiare il colore di uno spazio urbano — serve a ricordarci che dietro i numeri ci sono volti, storie, nodi emozionali, frustrazioni, potenzialità, serve a colpire l’immaginazione, a rompere l’oblio.
Serve a dire: «non siete soli, siete visti». Serve a innescare un racconto collettivo.
Gli attori di questa giornata: istituzioni, città, cittadini

Non è un’iniziativa da fare in solitudine, le istituzioni locali — comuni, province, enti pubblici — sono chiamate a collaborare: illuminare edifici, piazze, monumenti, con le amministrazioni che possono diventare protagoniste di sensibilizzazione.
In parallelo, le scuole, le associazioni territoriali, le comunità cittadine possono organizzare iniziative collaterali: incontri, momenti di confronto, esposizioni, dibattiti, letture, laboratori, l’idea è che la giornata turchese si estenda da un semplice punto visivo a una trama di voci che si rispecchino.
I cittadini, da parte loro, sono invitati a partecipare attivamente, non solo spettatori, ma co-produttori del messaggio, piccoli gesti che sommano, in un’epoca in cui l’attenzione è ferita, la visibilità simbolica può fare da innesco a conversazioni reali.
In Italia, già da anni l’AID è attiva nel tessere questa rete, ma non basta fare “azioni spot”, ma costruire percorsi culturalmente solidi, duraturi, capaci di attraversare la scuola, la normativa, il mondo del lavoro, la vita adulta. Oggi l’illuminazione è un segnale, ma non l’obiettivo finale.
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