Il diabete di tipo 2 è una malattia comune, che colpisce il 10% della popolazione mondiale adulta, in cui l’ereditarietà e il sovrappeso sono noti fattori di rischio. In un nuovo studio del Karolinska Institutet, i ricercatori mostrano che le donne e gli uomini con una predisposizione al diabete hanno diversi fattori di rischio che prevedono il diabete di tipo 2 e il prediabete.
I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Frontiers in Endocrinology.
Diabete di tipo 2: ecco in cosa si distinguono donne e uomini
Nelle donne sane, un basso livello sierico della proteina del tessuto adiposo adiponectina era un forte predittore indipendente di diabete di tipo 2 e prediabete in futuro. Negli uomini sani, invece, bassi livelli sierici della proteina epatica IGFBP-1, erano un forte predittore indipendente di diabete di tipo 2 e prediabete.
Ciò significa che queste proteine, che sono misure della sensibilità all’insulina nel tessuto adiposo (adiponectina) e nel fegato e nei (IGFBP-1), può prevedere se si ha un rischio elevato di contrarre il diabete di tipo 2 in 10 anni.
Un precedente studio condotto a Shanghai nel 2016 mostrava differenze di genere nella stessa direzione. Negli uomini con prediabete il rischio di futuro diabete di tipo 2 era significativamente ridotto se aumentavano l’attività fisica e la massa muscolare. Al contrario, lo stesso studio ha dimostrato che le donne con prediabete devono evitare di aumentare la circonferenza della vita e l’obesità addominale o ridurre la circonferenza della vita per prevenire il diabete di tipo 2.
“Il nostro studio spiega perché questa differenza di genere è stata osservata quando si trattava di stili di vita preventivi”, afferma Kerstin Brismar, professore di ricerca sul diabete presso il Dipartimento di medicina e chirurgia molecolare. Le proteine che abbiamo studiato negli uomini e nelle donne aumentano con l’aumento della massa muscolare e dell’attività fisica (IGFBP-1) e con la riduzione dell’obesità addominale e della restrizione calorica (adiponectina), continua.
Potrebbe anche spiegare perché l’esercizio fisico regolare tra le donne obese addominali non è sufficiente per ridurre il rischio di diabete di tipo 2.
“Abbiamo precedentemente dimostrato che la circonferenza della vita era un forte predittore indipendente del diabete di tipo 2 nelle donne e ora siamo stati in grado di dimostrare che era collegata alla ridotta produzione di adiponectina, una proteina/ormone prodotto nel tessuto adiposo , tra le altre cose , proteggono dallo stress cellulare”, afferma Kerstin Brismar.
Altri studi condotti sia sull’uomo che sui topi hanno dimostrato che sia livelli normali elevati di adiponectina sia livelli normali elevati della proteina epatica IGFBP-1 proteggono dall’insorgere del diabete di tipo 2.
In Italia, secondo il Ministero della Salute: “Gli italiani affetti da diabete tipo 2 sono circa il 6% della popolazione, cioè quasi 4 milioni di persone. Si stima, tuttavia, che a questo numero possa aggiungersi circa 1,5 milione di persone che hanno la malattia ma ancora non lo sanno. La prevalenza aumenta al crescere dell’età fino a un valore del 21% nelle persone con età uguale o superiore a 75 anni (dati ISTAT 2020).
Nel 2021 l’International Diabetes Federation (IDF) ha calcolato che oltre 530 milioni di persone nel mondo tra 20 e 79 anni sono diabetiche”.
In base ai dati ISTAT: “In Italia, in base ai dati ISTAT, nel 2020 si stima una prevalenza del diabete pari al 5,9%, che corrisponde a oltre 3,5 milioni di persone, con un trend in lento aumento negli ultimi anni. La prevalenza aumenta al crescere dell’età fino a raggiungere il 21% tra le persone ultra 75enni. La prevalenza (dati non standardizzati) è mediamente più bassa nelle Regioni del Nord-ovest (5,4%), del Nord-est (5,3%) e del Centro (5,5%), rispetto a quelle del Sud (7%) e delle Isole (6,7%).
Dai dati del sistema di sorveglianza PASSI relativi al quadriennio 2017-2020 emerge che il 4,7% della popolazione adulta di 18-69 anni riferisce una diagnosi di diabete; la percentuale sale al 20% negli ultra 65enni (sorveglianza PASSI d’Argento).
La prevalenza del diabete cresce con l’età (è inferiore al 3% nelle persone con meno di 50 anni e supera il 9% fra quelle di 50-69 anni), è più frequente fra gli uomini che fra le donne (5,3% vs 4,1%), nelle fasce di popolazione socio-economicamente più svantaggiate per istruzione o condizioni economiche, fra i cittadini italiani rispetto agli stranieri, e nelle Regioni meridionali rispetto al Centro e al Nord Italia. Tra chi riferisce una diagnosi di diabete vi è un’alta prevalenza di fattori di rischio cardiovascolare:
l’89% riferisce di non seguire il consiglio di mangiare cinque porzioni al giorno tra frutta e verdura (analogamente al resto della popolazione (91%))
il 71% è in eccesso ponderale (vs 41% fra chi non ha il diabete)
il 52% è iperteso (vs 18% fra chi non ha il diabete)
il 43% ha alti livelli di colesterolo (vs 21% fra chi non ha il diabete)
il 49% è sedentario (vs 36% fra chi non ha il diabete)
il 23% fumatore (analogamente al resto della popolazione (25%)).
Nei 12 mesi precedenti l’intervista, la pressione arteriosa è stata misurata all’89,2% delle persone con diabete e il colesterolo all’80,8%. Tra loro, l’89,7% è in trattamento farmacologico per la pressione arteriosa e il 67,2% assume farmaci per il trattamento dell’ipercolesterolemia. Per quanto riguarda il contrasto all’eccesso ponderale e alla sedentarietà, i diabetici in eccesso ponderale che seguono una dieta per perdere peso sono il 41,8%, i diabetici che fanno attività fisica moderata o intensa aderendo alle linee guida sono il 20,5%.
Nel periodo considerato, la maggior parte dei diabetici è stata seguita principalmente dal centro diabetologico (32,6%) o dal medico di medicina generale (28,8%), o da entrambi (33,3%). Pochi dichiarano di essere seguiti da altri specialisti (3%) e l’1,9% riferisce di non essere seguito da nessuno.
Il 63% delle persone con diabete ha effettuato il controllo dell’emoglobina glicata nei 12 mesi precedenti l’intervista (33,6% nei 4 mesi precedenti). Migliora nel tempo la conoscenza di questo esame ma il 23% dei diabetici non lo conosce o non ne conosce il significato.
La gran parte delle persone con diabete dichiara di essere in trattamento con ipoglicemizzanti orali (79,1%), mentre il 26,5% ricorre all’insulina. Anche nel nostro Paese, inoltre, sono riscontrabili diseguaglianze nella gestione della patologia diabetica e nell’accesso ai servizi sanitari. I dati del Sistema PASSI mostrano l’impatto delle difficoltà economiche: la prevalenza del diabete tra chi ne ha molte è più che doppia rispetto a quella tra chi non ne ha (8% contro 3,4%).
Tali indicatori di livello socioeconomico confermano che le persone socialmente più svantaggiate presentano un rischio maggiore di andare incontro alla patologia diabetica nel corso della loro esistenza. Questo è probabilmente dovuto alla maggiore diffusione tra questi soggetti di stili di vita sbagliati (alimentazione scorretta e sedentarietà) e alla conseguente maggiore frequenza di condizioni di sovrappeso e obesità.
Per avere un quadro aggiornato del fenomeno obesità e sovrappeso tra i giovani italiani, il Ministero della Salute/CCM ha promosso lo sviluppo di sistemi di sorveglianza su stato ponderale e comportamenti dei bambini e degli adolescenti scolarizzati. In particolare il Sistema di sorveglianza OKkio alla salute e lo studio HBSC – Health Behaviours in School-aged Children.
Secondo lo studio OKkio alla salute, in Italia, nel 2019, i bambini in sovrappeso sono stati il 20,4% e gli obesi il 9,4% (valori soglia dell’International Obesity Task Force, IOTF); i maschi hanno mostrato valori di obesità leggermente superiori alle femmine (maschi obesi 9,9% vs femmine obese 8,8%). Il confronto con le rilevazioni passate evidenzia un trend di lenta ma costante diminuzione per quanto riguarda la diffusione del sovrappeso e dell’obesità tra i bambini:
per l’obesità si è passati dal 12% del 2008/2009 al 9,4% del 2019, con una diminuzione relativa di circa il 22%
per il sovrappeso si è passati dal 23,2% del 2008/2009 al 20,4% del 2019, con una diminuzione relativa di circa il 12%.
Tuttavia, l’Italia, che con questa sorveglianza partecipa all’iniziativa della Regione europea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità “Childhood Obesity Surveillance Initiative” (COSI), risulta tra le nazioni con i valori più elevati di eccesso ponderale nei bambini insieme ad altri Paesi dell’area mediterranea. Si evidenzia, inoltre, un chiaro trend geografico che vede le Regioni del Sud avere valori più elevati di eccesso ponderale in entrambi i generi.
Prevalenze di obesità più elevate si osservano anche in famiglie in condizione socioeconomica più svantaggiata e tra i bambini che sono stati allattati al seno per meno di un mese o mai. Inoltre, nonostante l’andamento in calo, la rilevazione 2019, confermando i dati precedenti, sottolinea la grande diffusione tra i bambini di abitudini alimentari poco salutari, anche se si registra un miglioramento per quanto riguarda la minore abbondanza delle merende e la riduzione del consumo di bevande zuccherate e/o gassate.
Anche riguardo la diffusione di uno stile di vita attivo, i dati 2019 continuano a mostrare elevati valori di inattività fisica e di comportamenti sedentari.
I dati 2018 dello studio Health Behaviours in School-aged Children (HBSC) Italia mostrano che il 16,6% dei ragazzi 11-15 anni è in sovrappeso e il 3,2% obeso. L’eccesso ponderale diminuisce lievemente con l’età ed è maggiore nei maschi. Risultati tendenzialmente stabili rispetto alla rilevazione 2016.
I dati ISTAT 2019 sui giovani in età scolastica (6-17 anni) denunciano che il 24,7% di essi è in condizioni di eccesso ponderale (27,1% per i maschi, 22,2% per le femmine) e che circa il 35% degli stessi ha entrambi i genitori nella stessa condizione, il 24% solo il padre, il 30% solo la madre. Complessivamente, quindi, circa l’89% ha almeno un genitore in eccesso ponderale, segnalando l’importanza dello stile di vita “familiare” per i giovani”.
professor Luigi Uccioli, diabetologo, responsabile dell’Unità piede diabetico del Policlinico Universitario Tor Vergata di Roma, ha dichiarato: “I disturbi che devono mettere allerta sono una necessità insolita di urinare e contestualmente un bisogno continuo di bere. Se si hanno questi sintomi è necessario fare un controllo della glicemia in laboratorio.
Diabete e diabete mellito sono in realtà sinonimi. Bisogna piuttosto distinguere tra il diabete di tipo 1, detto anche insulino-dipendente, perché deve essere necessariamente trattato con l’insulina. Colpisce in genere soggetti giovani. Rappresenta circa il 5-10 percento di tutte le forme di diabete.
Il tipo di diabete molto più comune (circa il 90 per cento) è il diabete di tipo 2, detto anche diabete non insulino dipendente, definito anche in maniera erronea come “diabete alimentare”. Colpisce in genere adulti intorno ai 50 anni in genere in sovrappeso con uno stile di vita sedentario.
Questo tipo di diabete viene considerato frequentemente dai pazienti come un “po’ di diabete”’ o “diabete leggero”, a connotare falsamente un diabete non particolarmente grave. Questo tipo di valutazione conduce spesso a una gestione della malattia spesso superficiale, che purtroppo lascia invece spazio allo sviluppo delle complicanze croniche del diabete.
Tra queste la retinopatia, che colpisce gli occhi, la nefropatia che colpisce i reni, la neuropatia che colpisce i piedi e la vasculopatia che colpisce le arterie del cuore, le arterie che portano sangue alla testa e agli arti inferiori. La neuropatia e la arteriopatia periferica sono a loro volta responsabili del “piede diabetico”, una grave complicanza che porta ad ulcere croniche ed amputazioni.
Sia il diabete di tipo 1 che quello di tipo 2 sono pericolosi alla stessa maniera quando, non curati in modo adeguato, manifestano le complicanze croniche di cui abbiamo parlato. Per il diabete di tipo 2 i fattori di rischio sono legati soprattutto alla alimentazione e a uno stile di vita sedentario. Per il diabete di tipo 1 i fattori di rischio sono genetici e come tali non controllabili.
In caso di familiarità per il diabete di tipo 2 il rischio di sviluppare la malattia diabetica è direttamente proporzionale al peso. Quindi una dieta che permette di perdere peso permette anche di allontanare il rischio di sviluppare diabete.
Negli ultimi anni è aumentato enormemente il numero di studi sul piede diabetico, perché si è visto che si poteva fare moltissimo per permettere alle ulcere ai piedi di guarire evitando così il rischio di amputazione. Il piede diabetico È una complicanza che si sviluppa con ulcere croniche e/o cancrena nei pazienti che hanno un diabete di lunga data complicato da neuropatia e/o arteriopatia periferica.
Molte persone soffrono di diabete e contemporaneamente sono afflitte dalla sindrome del piede diabetico. Spesso l’amputazione è la prima soluzione proposta ad un paziente, ma non è detto che debba essere sempre così.
Il 6% della popolazione generale in Italia è affetta da diabete. E’ così diffusa la malattia che si parla addirittura di una ‘epidemia del diabete’. Ma questo fenomeno interessa tutta la popolazione mondiale perchè si registra sempre più un aumento del peso corporeo e si esegue scarsa attività fisica in tutte le fasce d’età.
Esiste una sensibilità spiccata per la patologia del piede diabetico. Lo dimostra il fatto che sul nostro territorio sono presenti una serie di centri specialistici. Peraltro nel nostro Paese vengono eseguite le rivascolarizzazioni per patologia vascolare periferica che è una delle principali cause di amputazione del piede nei diabetici. Tutto questo produce un basso numero di amputazione del piede diabetico“.
“Le cose stanno diversamente nei Paesi dove non esiste un sistema sanitario nazionale ma piuttosto un sistema assicurativo,- conclude Uccioli- come ad esempio negli Stati Uniti, una nazione che registra un alto volume di amputazione del piede diabetico e che colpisce soprattutto le fasce meno abbienti e di colore.
I sintomi della Neuropatia sono rappresentati soprattutto dalla presenza di formicolio ai piedi, soprattutto di notte e da una riduzione della sensibilità. Nei casi più avanzati si arriva a ustionarsi i piedi (d’estate con la sabbia calda e d’inverno con il fuoco del focolare) perché non si avverte assolutamente dolore.
I sintomi dell’arteriopatia periferica sono legati alla scarsità di sangue che arriva, con dolore che compare ai polpacci già dopo aver percorso pochi passi o con la comparsa di ulcere o aree di necrosi che guariscono con estrema difficoltà.
Paradossalmente uno dei Paesi in cui si amputa di più sono gli Stati Uniti di America dove la cura del diabete è a pagamento e quindi larga parte della popolazione diabetica si cura in maniera inadeguata e questo comporta lo sviluppo delle complicanze croniche con le conseguenze che abbiamo descritto”.
Brava e professionale in ogni suo articolo