I ricercatori della Cornell University, guidati dal professor Minglin Ma, stanno lavorando a una nuova tecnologia che potrebbe rivoluzionare il trattamento del diabete di tipo 1. Hanno sviluppato un sistema di impianto innovativo, in grado di fornire alle cellule che producono insulina l’ossigeno supplementare di cui hanno bisogno per sopravvivere e funzionare efficacemente. La vera svolta è che questo sistema non richiede l’uso di farmaci immunosoppressori, eliminando così uno dei principali ostacoli al trapianto di cellule.

Nuova speranza per il diabete di tipo 1: un impianto per la produzione di insulina
Il diabete di tipo 1 è una malattia in cui il sistema immunitario attacca e distrugge le cellule pancreatiche (isole di Langerhans) responsabili della produzione di insulina. Senza insulina, il corpo non è in grado di utilizzare il glucosio per produrre energia. Le persone affette da questa condizione devono ricorrere a iniezioni o microinfusori di insulina per tutta la vita, un approccio che, sebbene salvavita, non previene i danni a lungo termine della malattia.
Il team di ricerca del professor Ma si è a lungo concentrato sullo sviluppo di dispositivi impiantabili per il trattamento del diabete di tipo 1. I primi prototipi, testati sui topi, hanno mostrato risultati promettenti, riuscendo a controllare efficacemente i livelli di glucosio. Tuttavia, una sfida cruciale ha sempre limitato il successo a lungo termine: la mancanza di ossigeno.

La dottoressa Lora (Phuong) Tran, una delle autrici principali dello studio, ha spiegato in modo chiaro il problema. Sebbene le capsule impiantate nei topi abbiano funzionato per oltre un anno, quando si cerca di passare a una scala più grande per trattare organismi di maggiori dimensioni, le cose cambiano drasticamente. Per avere un impatto significativo, è necessario impiantare un numero molto più elevato di cellule, il che comporta una densità cellulare maggiore. In queste condizioni, senza un apporto supplementare di ossigeno, le cellule impiantate non riescono a sopravvivere a lungo e spesso muoiono nel giro di due settimane.
Per superare questa barriera, i ricercatori hanno integrato un sistema che genera ossigeno direttamente all’interno dell’impianto. Questo approccio risolve il problema alla radice, garantendo la sopravvivenza delle cellule e permettendo loro di continuare a produrre insulina per un periodo prolungato. Questa innovazione non solo apre la strada a un trattamento potenzialmente a lungo termine per il diabete di tipo 1, ma getta anche le basi per future terapie che potrebbero aiutare le persone affette da altre malattie croniche che richiedono l’impianto di cellule funzionali.
Verso un futuro senza immunosoppressione
Il team del professor Ma, in collaborazione con la ricercatrice Linda Tempelman di Giner Inc., ha sviluppato un sistema impiantabile composto da due elementi chiave: una capsula cilindrica e un generatore elettrochimico di ossigeno rimovibile.
La capsula ha una sezione trasversale a forma di anello, all’interno della quale sono alloggiate le cellule produttrici di insulina.

La sua struttura è progettata per assolvere a due funzioni fondamentali, come sottolineato da Tran: la protezione immunitaria e il trasferimento di massa. All’esterno, una membrana nanofibrosa isola le cellule dal sistema immunitario del corpo ospite, prevenendo il rigetto. Al centro della capsula, invece, una membrana permeabile permette all’ossigeno, ai nutrienti e al glucosio di raggiungere le cellule e di interagire con il corpo circostante, garantendo il corretto funzionamento dell’impianto.
Il nuovo sistema è stato testato con successo sui ratti, in collaborazione con il dottor James Flanders della Facoltà di Medicina Veterinaria. Questo risultato, come confermato da Tempelman, dimostra in modo tangibile che l’ossigenazione è un fattore cruciale per la sopravvivenza delle cellule ad alta densità. La capsula è in grado di proteggere le cellule senza innescare una risposta eccessiva da parte dell’organismo contro il materiale impiantato.
Questa innovazione ha il potenziale di cambiare la vita di milioni di persone affette da diabete di tipo 1, offrendo loro l’opportunità di sottoporsi a terapie cellulari senza i rischi legati all’uso di farmaci immunosoppressori, che sono spesso troppo pericolosi per un trattamento di routine. Il sistema promette un controllo glicemico più preciso, permettendo ai pazienti di condurre una vita più normale, con maggiore libertà di mangiare, bere ed esercitarsi.

Il prossimo passo per i ricercatori è testare l’impianto su modelli di maiale e con cellule staminali umane. L’obiettivo a lungo termine, secondo Tempelman, CEO di Persista Bio Inc., la startup che sta sviluppando la tecnologia, è applicare questo sistema per trattare altre malattie croniche che potrebbero beneficiare dell’impianto di diversi tipi di cellule funzionali.
Oltre il diabete: nuove applicazioni terapeutiche
La dottoressa Linda Tempelman, CEO di Persista Bio Inc., descrive una nuova era della medicina in cui gli impianti cellulari diventeranno una terapia comune e a lungo termine. Questi impianti, che utilizzano cellule provenienti da donatori o da linee di cellule staminali, sono progettati per compensare ciò che il corpo non è più in grado di produrre autonomamente. Nel contesto del diabete di tipo 1, l’obiettivo è ripristinare la produzione di insulina, ma le potenziali applicazioni sono molto più ampie.
La tecnologia sviluppata dai ricercatori della Cornell e Giner Inc. potrebbe essere utilizzata per trattare una vasta gamma di patologie croniche. Per esempio, nel trattamento del dolore, l’impianto potrebbe fornire endorfine o altre molecole analgesiche. Nelle terapie di sostituzione enzimatica, si potrebbero impiantare cellule in grado di produrre gli enzimi mancanti.

Tempelman cita anche le malattie autoimmuni, come il lupus, come un’area di grande interesse. Invece di dover assumere farmaci antinfiammatori per via orale, un paziente potrebbe avere un piccolo impianto in grado di rilasciare costantemente una piccola quantità di molecole che controllano l’infiammazione, offrendo un trattamento continuo e a basso dosaggio.
Lo studio è stato pubblicato su Nature Communications.