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Salute

Diabete di tipo 1: scoperto un farmaco che ne rallenta la progressione

Un recente studio clinico ha rivelato che un farmaco comunemente usato per le malattie cardiache ha un effetto sorprendente sul diabete di tipo 1. I risultati preliminari indicano che questo farmaco è in grado di rallentare la progressione della malattia, offrendo una potenziale svolta per la gestione di questa patologia autoimmune

Denise Meloni 14 ore fa Commenta! 8
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Un recente studio, chiamato Ver-A-T1D, ha presentato risultati promettenti al meeting annuale dell’Associazione europea per lo studio del diabete (EASD). La ricerca, guidata dal Professor Thomas R. Pieber dell’Università di Medicina di Graz, in Austria, suggerisce che il verapamil a rilascio lento (SR), somministrato a una dose di 360 mg al giorno, potrebbe avere un effetto benefico sulla funzione delle cellule beta in adulti a cui è stato diagnosticato di recente il diabete di tipo 1.

Contenuti di questo articolo
Nuovi orizzonti nella cura del diabete di tipo 1: il ruolo del verapamilUn farmaco noto e sicuroUna progressione della malattia inaspettatamente lenta
Diabete di tipo 1: scoperto un farmaco che ne rallenta la progressione
Diabete di tipo 1: scoperto un farmaco che ne rallenta la progressione

Nuovi orizzonti nella cura del diabete di tipo 1: il ruolo del verapamil

Il diabete di tipo 1 (T1D) è una malattia autoimmune in cui il sistema immunitario attacca e distrugge erroneamente le cellule beta del pancreas, responsabili della produzione di insulina. La conseguente carenza di questo ormone cruciale porta a un accumulo di glucosio nel sangue, causando iperglicemia.

Precedenti ricerche hanno evidenziato che la sovraespressione di determinate proteine può contribuire alla morte di queste cellule vitali. In questo contesto, il verapamil, un bloccante dei canali del calcio, è stato studiato per la sua capacità di prevenire tale sovraespressione, offrendo una potenziale via per preservare la funzione delle cellule beta.

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Diabete di tipo 1: scoperto un farmaco che ne rallenta la progressione

I dati provengono da uno studio clinico multicentrico, randomizzato e controllato con placebo, che ha coinvolto ben 136 partecipanti in 21 diversi centri clinici in Europa, inclusi Austria, Belgio, Francia, Germania, Italia e Regno Unito. Il reclutamento dei partecipanti si è concluso a maggio 2024, il che significa che il team di ricerca ha ora tutti i dati necessari per un’analisi approfondita.

Il rigore scientifico di questo studio è fondamentale. Il suo design “randomizzato e controllato con placebo” significa che i partecipanti sono stati assegnati casualmente a ricevere il verapamil o un placebo (una sostanza inerte), il che minimizza i bias e garantisce che i risultati osservati siano realmente dovuti al farmaco e non ad altri fattori. Questo approccio metodologico è lo standard d’oro nella ricerca medica, rendendo i risultati di Ver-A-T1D particolarmente affidabili e di grande interesse per la comunità scientifica.

Un farmaco noto e sicuro

Il verapamil non è un farmaco sconosciuto; al contrario, è un medicinale ampiamente utilizzato da oltre cinquant’anni per il trattamento dell’ipertensione e di altre patologie cardiache. È approvato sia dalla FDA negli Stati Uniti che dall’EMA in Europa, il che ne attesta il consolidato profilo di sicurezza. Questo rappresenta un vantaggio significativo per un suo potenziale riutilizzo nel trattamento del diabete di tipo 1.

Diabete di tipo 1: scoperto un farmaco che ne rallenta la progressione

Lo studio Ver-A-T1D aveva come obiettivo primario la misurazione della risposta del peptide C stimolato, un indicatore chiave della funzionalità delle cellule beta. Nonostante i risultati abbiano mancato di poco la significatività statistica nell’analisi generale, hanno mostrato tendenze incoraggianti a favore della protezione delle cellule beta grazie al trattamento con verapamil. Inoltre, un’analisi per protocollo, che ha esaminato i dati dei partecipanti che hanno seguito scrupolosamente le indicazioni dello studio, ha prodotto risultati statisticamente significativi. Questo suggerisce la plausibilità biologica dell’effetto protettivo del verapamil.

Gli esiti secondari dello studio hanno rivelato miglioramenti nell’emoglobina glicata (HbA1c) solo nei primi sei mesi di trattamento. Il fabbisogno di insulina e il monitoraggio continuo del glucosio hanno mostrato un controllo glicemico comparabile tra i gruppi, dimostrando che il farmaco non compromette il controllo della glicemia.

I risultati dello studio Ver-A-T1D confermano che il verapamil mantiene il suo ottimo profilo di sicurezza, che lo ha reso un farmaco di riferimento per decenni. Non sono stati riscontrati eventi avversi inattesi, un dato cruciale per la sua potenziale applicazione in una nuova area terapeutica.

Diabete di tipo 1: scoperto un farmaco che ne rallenta la progressione

Gli effetti collaterali più comuni, il blocco AV di primo grado (un’alterazione lieve del ritmo cardiaco) e la bradicardia (rallentamento del battito cardiaco), sono stati lievi e facilmente gestibili. Entrambi si sono dimostrati reversibili con una semplice riduzione del dosaggio, il che indica che il farmaco può essere adattato alle esigenze del singolo paziente in modo sicuro.

Questa solida base di sicurezza, unita ai risultati incoraggianti sulla funzionalità delle cellule beta, rende il verapamil un candidato estremamente promettente per ulteriori studi. Se le ricerche future confermeranno questi dati, potremmo assistere a una vera e propria svolta nel trattamento del diabete di tipo 1, offrendo ai pazienti una terapia in grado di preservare la produzione di insulina in modo efficace e sicuro.

Una progressione della malattia inaspettatamente lenta

Lo studio Ver-A-T1D è stato progettato con l’aspettativa che la progressione del diabete di tipo 1 (T1D) negli adulti seguisse un percorso ben definito. Il suo design statistico si basava su una differenza minima clinicamente importante (MCID) di 0,18 nmol/L/min, un valore derivato da precedenti ricerche, inclusi studi pediatrici e lo studio INNODIA, che avevano mostrato cali annuali di peptide C di 0,24-0,40 nmol/L/min. In altre parole, ci si aspettava che la capacità di produrre insulina diminuisse a un certo ritmo.

Diabete di tipo 1: scoperto un farmaco che ne rallenta la progressione

I dati reali hanno rivelato un quadro diverso: i partecipanti del gruppo placebo hanno mostrato una progressione della malattia molto più lenta del previsto, con un calo medio di soli 0,09 nmol/L/min. Questa discrepanza ha fatto sì che lo studio, retrospettivamente, mancasse della potenza statistica necessaria per rilevare differenze clinicamente significative, dato che il calo atteso era quasi il doppio di quello effettivamente osservato.

Nonostante il mancato raggiungimento della significatività statistica, il Professor Pieber sottolinea che il verapamil rimane un’opzione molto promettente. Il suo meccanismo non immunosoppressivo, il profilo di sicurezza consolidato e la comodità di somministrazione lo rendono un candidato ideale per essere combinato con altri interventi immunomodulatori. L’obiettivo, in questo caso, non è più semplicemente rallentare la malattia, ma arrestarne completamente la progressione.

La ricerca non si ferma qui. Il prossimo passo fondamentale sarà l’analisi dei dati di follow-up a 24 mesi dello studio Ver-A-T1D, che fornirà preziose informazioni sulla progressione naturale della malattia senza trattamento a lungo termine. Inoltre, i ricercatori seguiranno i pazienti che hanno continuato ad assumere verapamil nello studio di estensione Ver-A-Long.

Diabete di tipo 1: scoperto un farmaco che ne rallenta la progressione

Questo studio fornirà dati cruciali sulla conservazione a lungo termine della funzionalità delle cellule beta in un arco di tre anni. Sulla base dei risultati ottenuti, il team sta già lavorando a un redesign del programma T1D-Plus in collaborazione con colleghi nel Regno Unito e in Australia, con l’obiettivo di testare il verapamil in combinazione con altri agenti immunomodulatori per ottenere un blocco completo della progressione del diabete.

La ricerca è stata pubblicata dall’Associazione Europea per lo Studio del Diabete.

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