La questione dei detriti spaziali non è certo una novità; da anni gli addetti ai lavori sanno che la quantità di oggetti, frammenti e “scarti” delle attrezzature e delle missioni spaziali non può che aumentare.
Qual è la situazione attuale?
“Ad oggi, quasi 2.500 satelliti in piena attività sfrecciano a circa 28.000 chilometri orari, insieme a quasi 3.000 mezzi dismessi e 34.000 pezzi di “spazzatura spaziale” di dimensione superiore a 10 centimetri.
I frammenti che vanno da 1 a 10 centimetri sono circa 900.000. La loro posizione può essere individuata solo nel 70% dei casi. In altre parole, di questo insieme di oggetti, solo le unità dai 5 centimetri in poi vengono localizzate efficacemente.
Infine, il numero di detriti di dimensioni inferiori al centimetro (al momento non rilevabili) è stimato in 128 milioni; solo in questi ultimi tempi si sta confidando nello sviluppo di nuove tecnologie per la loro individuazione.
Circa la metà di questa congestione di detriti proviene da soli due eventi distruttivi. Il primo è avvenuto nel 2007, conseguenza del test di un missile anti satellite (ASAT) cinese che abbatté un mezzo della serie Fengyun appartenente alla stessa nazionalità. Il secondo invece avvenne nel 2009, e fu un impatto accidentale tra un satellite della costellazione Iridium e uno militare russo Kosmos. Questi eventi avvennero a quote piuttosto elevate, per cui la miriade di detriti generati rimarrà in orbita per molti anni ancora.
“Con gli “incidenti” nello spazio, insomma, meglio non scherzare. In un ambiente orbitale ormai piuttosto congestionato ogni volta che un detrito o un veicolo spaziale inerte si avvicina troppo a un satellite attivo (in genere quando un rischio di collisione raggiunge una probabilità di 1 su 10.000) l’operatore che ne è responsabile deve decidere se eseguire o meno una manovra correttiva. Questi leggeri cambi di orbita, in gergo chiamati “Collision Avoidance Manoeuvre” avvengono ormai con una certa frequenza.”
Il video dell’ESA pubblicato nel 2019 è molto eloquente
Detriti spaziali: quali le novità?
Oltre al fattore sicurezza, anche il business non poteva mancare all’appello. Ecco che infatti nei prossimi anni assisteremo ad un nuovo ambito commerciale spaziale: quello legato alla rimozione dei detriti lasciati in orbita. L’ESA ha recentemente firmato un contratto da 86 milioni di Euro con un gruppo industriale guidato dalla start-up svizzera ClearSpace SA per “acquistare un servizio unico: la prima rimozione di un detrito spaziale dall’orbita”.
Acquistare questo tipo di servizio piuttosto che sviluppare direttamente e gestire l’intera missione, rappresenta un nuovo modo di lavorare per l’Agenzia spaziale europea: è un primo passo per creare un settore commerciale del tutto nuovo
Spiega un portavoce dell’ESA. Già per il 2025 è prevista la prima missione di questo tipo. L’obiettivo? Rintracciare, raccogliere e portare indietro la parte superiore di un adattatore, chiamato VESPA, utilizzato con il lanciatore Vega e mandato nello spazio nel 2013. L’ESA rende noto che “ClearSpace raccoglierà i fondi ancora mancanti per coprire il costo della restante parte della missione attraverso tradizionali investitori commerciali“.
Come verranno eliminati i detriti spaziali?
“Il nostro progetto di “camion da rimorchio” sarà pronto a ripulire le orbite chiave che potrebbero altrimenti risultare non utilizzabili per future missioni, eliminando il rischio crescente e le perdite per i loro proprietari, a vantaggio di tutta l’industria spaziale. Il nostro obiettivo è di offrire servizi in orbita convenienti e sostenibili“, afferma l’amministratore delegato di ClearSpace, Luc Piguet.
«Alle velocità orbitali, anche una vite può colpire con una forza esplosiva: i responsabili di missione non possono garantire alcuna protezione; piuttosto, il rischio deve essere gestito attraverso operazioni di rimozione attiva dei rifiuti spaziali. Tali tecnologie includono sistemi avanzati di guida, navigazione e controllo e di Intelligenza Artificiale basata sulla visione, consentendo al satellite di acquisizione di avvicinarsi all’obiettivo in sicurezza e su base autonoma, oltre a permettere ai bracci robotici di catturare l’obiettivo.