Nel mondo della ricerca scientifica, un promettente punto di svolta potrebbe aprire la strada a nuove forme di trattamento per la depressione maggiore, un disturbo che ha afflitto milioni di persone in tutto il mondo, ma qual è la chiave di questo potenziale rivoluzionario? La psilocibina, il componente psicoattivo dei funghetti magici, che da tempo sta attirando l’attenzione della comunità scientifica per i suoi possibili effetti benefici nel trattamento della depressione (e della quale abbiamo parlato più volte anche noi).
Sebbene molte domande siano ancora senza risposta, nuove ricerche offrono nuove prospettive sul modo in cui la psilocibina modifica le reti cerebrali per combattere questa malattia debilitante.
La psilocibina, come abbiamo già detto, ha dimostrato di essere un possibile punto di svolta nel trattamento della depressione maggiore, ma ci sono ancora molte domande senza risposta su cosa fa al nostro cervello, tuttavia il contenuto di una nuova prestampa, ovvero uno studio che deve ancora essere sottoposto a revisione paritaria, potrebbe contenere alcune delle soluzioni, ed ha tutto a che fare con il modo in cui la psilocibina influenza le reti cerebrali.
Per decenni, la ricerca sulle terapie psichedeliche è stata ostacolata da controlli rigorosi e da reazioni culturali restrittive, tuttavia il panorama sta cambiando rapidamente, ed il primo esempio al riguardo è rappresentato proprio dall’Australia, Stato che ha fatto la storia legalizzando l’uso psichiatrico dell’MDMA e della psilocibina, aprendo la strada a una nuova era di trattamenti potenziali, e questo è solo uno dei segni che il mondo sta finalmente abbracciando i potenziali benefici delle terapie psichedeliche, andando magari a trovare una cura definitiva alla depressione maggiore.
Uno studio condotto nel 2022 da ricercatori dell’Imperial College di Londra e dell’Università della California, San Francisco, ha gettato luce sulla psilocibina come catalizzatore per uno stato mentale “flessibile e fluido”. Questa flessibilità sembra contrastare i modelli rigidi che spesso caratterizzano la depressione maggiore, ma ancora una volta, i dettagli rimangono sfuggenti. Il professor Robin Carhart-Harris, autore dello studio, ha sottolineato la necessità di ulteriori indagini per determinare la durata di tali cambiamenti.
Ora, Carhart-Harris fa parte di un team che ha scoperto come la psilocibina influisce sulle reti cerebrali chiave, un po’ come la rete in modalità predefinita (DMN), inidirizzando lo studio in una possibile via per la cura della depressione maggiore.
Il nuovo studio che coinvolge la psilocibina nel trattamento della depressione maggiore
In questo nuovo preprint, che deve ancora essere valutato tramite peer review, gli autori spiegano come un piccolo gruppo di sette adulti, di età compresa tra i 18 e i 45 anni, è stato sottoposto a una serie di scansioni cerebrali dopo dosi di psilocibina (25 milligrammi), lo stimolante metilfenidato (noto anche come Ritalin), o senza farmaci nel loro sistema.
Tutti i partecipanti dovevano aver avuto almeno un’esperienza con una sostanza psichedelica in precedenza, ma non poteva essere avvenuta negli ultimi sei mesi, inoltre nessuno dei partecipanti aveva malattie psichiatriche, e sono stati seguiti dopo tre settimane e dopo sei mesi.
Attraverso l’uso di una tecnica di mappatura funzionale di precisione, i ricercatori hanno confrontato la connettività cerebrale durante le scansioni di base con quella dopo l’assunzione di psilocibina. Il metilfenidato è stato utilizzato come controllo per valutare l’effetto della psilocibina senza la componente psichedelica, ed i risultati sono stati straordinari: la psilocibina ha alterato la connettività attraverso varie reti cerebrali, producendo cambiamenti significativamente maggiori rispetto al metilfenidato.
“La psilocibina ha interrotto la connettività attraverso le reti corticali e le strutture sottocorticali, producendo cambiamenti acuti nelle reti funzionali più di 3 volte maggiori rispetto al metilfenidato. Questi cambiamenti sono stati guidati dalla desincronizzazione dell’attività cerebrale”
scrivono gli autori dello studio.
Gli scienziati proseguono spiegando che questa desincronizzazione “è stata osservata attraverso [la] corteccia associativa, ma più forte nella rete in modalità predefinita (DMN)”.
Questo aspetto è stato in linea con scoperte precedenti sull’effetto dell’LSD sulla stessa rete, il che potrebbe spiegare la sensazione di dissoluzione dell’ego che spesso caratterizza le esperienze psichedeliche.
La desincronizzazione della rete osservata dagli autori persisteva per settimane dopo il trattamento farmacologico, ma dopo sei mesi sembrava essersi risolta. Ciò è stato di particolare interesse perché studi clinici sulla psilocibina hanno scoperto che una singola dose elevata può avere un effetto positivo duraturo sui sintomi della depressione.
Quello che ha intrigato gli studiosi è stata la persistenza di questa desincronizzazione delle reti anche settimane dopo il trattamento farmacologico, ed anche se il fenomeno sembrava essersi risolto entro sei mesi, questa scoperta ha aperto la strada a nuove ipotesi su come la psilocibina possa avere effetti duraturi sul benessere mentale.
Ovviamente, sono necessarie ulteriori ricerche, ma gli autori hanno concluso che esiste la possibilità che questo fenomeno possa in qualche modo spiegare come vengono raggiunti gli impressionanti effetti terapeutici della psilocibina:
“La soppressione persistente della connettività ippocampo-DMN rappresenta un candidato correlato neuroanatomico e meccanicistico per la pro-plasticità e la stabilità della psilocibina con effetti antidepressivi”.
È un altro importante passo avanti, in un campo di ricerca che sta dando nuova speranza a un gruppo di pazienti per i quali altri trattamenti per la cura della depressione maggiore non hanno avuto successo.
La prospettiva di un singolo trattamento con psilocibina che possa avere effetti positivi duraturi sulla depressione maggiore è estremamente affascinante. I ricercatori ritengono che la soppressione persistente della connettività cerebrale possa essere collegata agli effetti antidepressivi della psilocibina, aprendo nuove prospettive per il trattamento di una malattia che spesso sfida le terapie convenzionali.
Tuttavia, è importante sottolineare che ulteriori ricerche sono necessarie per comprendere appieno il meccanismo di azione della psilocibina e per valutare i suoi effetti a lungo termine. La strada è ancora lunga, ma le scoperte attuali rappresentano un importante passo in avanti verso l’utilizzo responsabile e mirato delle terapie psichedeliche per affrontare la depressione maggiore.
In conclusione, la psilocibina sta emergendo come una possibile svolta nel trattamento della depressione maggiore. Nonostante le molte domande ancora senza risposta, nuove ricerche stanno rivelando come questa sostanza influenzi le reti cerebrali, aprendo la strada a nuovi orizzonti terapeutici. Sebbene sia necessario procedere con cautela e ulteriori ricerche, non c’è dubbio che la psilocibina stia aprendo nuove opportunità per i pazienti che cercano soluzioni alternative a una malattia che spesso sembra insormontabile. La prestampa, che è una versione preliminare di un articolo scientifico che non è stato soggetto a revisione paritaria, è disponibile tramite medRxiv.
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