Uno studio pubblicato su The Lancet Planetary Health ha confermato una correlazione tra l’inquinamento atmosferico e l’aumento del rischio di demenza, tra cui il morbo di Alzheimer. A condurre la ricerca è stato un team della MRC Epidemiology Unit dell’Università di Cambridge, che ha analizzato i dati di oltre 29 milioni di persone in tutto il mondo.
La demenza come emergenza globale
Secondo le stime, nel mondo oltre 57 milioni di persone convivono con forme di demenza. Entro il 2050, questo numero potrebbe quasi triplicare, raggiungendo i 152 milioni di casi e le conseguenze sociali, economiche e sanitarie sono già oggi enormi.

Anche se in Europa e Nord America si registra un lieve calo dei casi, in altre aree del pianeta l’andamento è preoccupante. È in questo contesto che lo studio getta luce su un fattore spesso sottovalutato: l’aria che respiriamo.
PM2.5, NO₂ e fuliggine: i principali imputati
I ricercatori hanno individuato un’associazione statisticamente significativa tra tre inquinanti atmosferici e l’aumento del rischio di demenza:
- PM2.5: particolato fine con diametro inferiore a 2,5 micron. Proviene da veicoli, centrali elettriche, combustione di legna e polveri da cantiere. Può penetrare in profondità nei polmoni e causare infiammazioni sistemiche.
- NO₂ (diossido di azoto): emesso principalmente dai motori diesel, impianti industriali e apparecchi a gas. Irrita il sistema respiratorio e aggrava condizioni come l’asma.
- Fuliggine (soot): residuo carbonioso derivante da combustione incompleta, presente nel PM2.5. È in grado di interferire con la respirazione e favorire problemi cardiovascolari.
I numeri parlano chiaro
Secondo l’analisi:
- ogni incremento di 10 μg/m³ di PM2.5 aumenta il rischio di demenza del 17%;
- ogni 10 μg/m³ di NO₂ aggiuntivi fanno crescere il rischio del 3%;
- e ogni 1 μg/m³ di fuliggine comporta un aumento del 13% del rischio.
Per dare un’idea concreta, nel 2023 a Londra le concentrazioni medie di PM2.5 erano pari a 10 μg/m³, mentre il NO₂ toccava quota 33 μg/m³.
Meccanismi biologici noti, ma sottovalutati
L’inquinamento atmosferico è in grado di penetrare nel corpo umano attraverso l’apparato respiratorio, diffondersi nel sangue e raggiungere anche il cervello. Da lì, può innescare stress ossidativo e infiammazione cronica, due processi notoriamente coinvolti nell’insorgenza delle malattie neurodegenerative.

Il rischio sembra essere ancora più marcato nel caso della demenza vascolare, anche se il numero di studi specifici non è ancora sufficiente per trarre conclusioni definitive.
Uno studio che è anche un appello
Gli autori sottolineano che la maggior parte dei partecipanti analizzati viveva in Paesi ad alto reddito, mentre le comunità marginalizzate e che spesso subiscono un’esposizione maggiore all’inquinamento, sono ancora sottorappresentate nella ricerca.
“Ridurre l’esposizione agli inquinanti atmosferici più pericolosi può abbassare il peso della demenza sulla società. Servono limiti più severi e una maggiore attenzione a trasporti e industria”, spiegano Clare Rogowski e Christiaan Bredell, primi autori dello studio.

Secondo il team, la prevenzione della demenza non è solo un tema sanitario, ma una questione che coinvolge urbanistica, politiche ambientali e infrastrutture.
Conclusione: l’aria pulita è anche una questione di cervello
Lo studio, finanziato dall’Unione Europea attraverso i programmi Horizon 2020 e Horizon Europe, rafforza l’idea che combattere l’inquinamento non serva soltanto a proteggere polmoni e clima, ma anche la nostra memoria e la salute mentale collettiva.
In attesa di nuove ricerche, un messaggio è già chiaro: respirare aria pulita non è solo un diritto, ma una strategia di prevenzione neurologica.