Un team di ricerca dell’University College London (UCL) ha compiuto significativi progressi nella comprensione dei meccanismi sottostanti alla morte selettiva di alcune cellule nervose nella demenza, grazie a un innovativo studio condotto su moscerini della frutta. Questa ricerca promette di fornire risposte a uno degli interrogativi più pressanti nel campo della neurodegenerazione, un passo cruciale per lo sviluppo di nuove terapie capaci di rallentare o arrestare la progressione di queste invalidanti condizioni.

I segreti della vulnerabilità neuronale nella demenza
I ricercatori si sono concentrati sull’indagare il motivo per cui specifiche cellule nervose nel cervello dei moscerini della frutta dimostrano una notevole resistenza ai processi patologici che negli esseri umani sono alla base della demenza frontotemporale (FTD) e della sclerosi laterale amiotrofica (SLA), mentre altre popolazioni neuronali appaiono significativamente più vulnerabili a questi stessi insulti.
La dottoressa Teresa Niccoli, autrice principale dello studio e ricercatrice presso l’UCL Institute of Healthy Aging e l’UCL Biosciences, ha evidenziato la centralità di questa domanda nella ricerca sulla demenza.
“Nella demenza, osserviamo un pattern di coinvolgimento cerebrale selettivo, con alcune aree colpite in modo preponderante rispetto ad altre. Ad esempio, nella DFT, le cellule nervose localizzate nella parte anteriore del cervello – la regione cruciale per l’elaborazione del linguaggio, delle emozioni e del comportamento – sono tra le prime a manifestare i segni della degenerazione. La questione fondamentale è comprendere perché alcune cellule nervose soccombono a questi processi patologici mentre altre rimangono relativamente indenni. Rispondere a questo interrogativo rappresenta una delle priorità assolute nella ricerca sulla demenza”.

La dottoressa Niccoli ha inoltre sottolineato l’importanza traslazionale di questa linea di ricerca: “Se riuscissimo a identificare i fattori che conferiscono a determinate cellule nervose una resilienza intrinseca alle malattie neurodegenerative, potremmo potenzialmente sviluppare nuove strategie terapeutiche volte a proteggere le cellule vulnerabili e, in ultima analisi, a bloccare l’insorgenza e la progressione di queste devastanti patologie”.
La sclerosi laterale amiotrofica (SLA) rappresenta la forma più comune di malattia del motoneurone, un gruppo eterogeneo di patologie che danneggiano progressivamente specifiche componenti del sistema nervoso. Attualmente, non esiste una cura nota per la SLA. Questa malattia colpisce il cervello e il midollo spinale, attaccando i neuroni e i nervi responsabili del controllo del movimento.
La conseguente morte neuronale porta a una progressiva debolezza muscolare, che culmina spesso nella paralisi e, in alcuni casi, nello sviluppo di demenza. Nel Regno Unito, è disponibile un solo farmaco approvato per la SLA, in grado di prolungare la sopravvivenza di alcuni mesi in una ristretta minoranza di pazienti. La prognosi per la SLA rimane infausta, con circa un terzo dei pazienti che decede entro un anno dalla diagnosi.

La demenza frontotemporale (FTD) è una forma rara di demenza che presenta una significativa sovrapposizione genetica e patologica con la SLA. Nel Regno Unito, si stima che circa 31.000 persone convivano con la FTD, una condizione che colpisce meno di 1 individuo su 1.000. La FTD comprende uno spettro di condizioni neurodegenerative, caratterizzate da una complessa e variegata gamma di meccanismi biologici sottostanti.
I sintomi della FTD possono includere difficoltà nel linguaggio e nell’eloquio, ma anche marcati cambiamenti nel comportamento e nella personalità, e possono compromettere il movimento e il controllo muscolare. Analogamente alla SLA, non esiste una cura per la FTD, né trattamenti efficaci in grado di arrestarne la progressione.
Il dottor Niccoli sta conducendo le sue ricerche su una specifica popolazione di piccoli moscerini della frutta portatori di una mutazione nel gene C9orf72. Questa particolare mutazione genetica rappresenta la causa più comune sia della FTD che della SLA negli esseri umani. Le persone con alterazioni a carico di questo gene tendono a sviluppare un accumulo di aggregati proteici dannosi all’interno delle cellule nervose, un processo che alla fine conduce all’insorgenza della FTD o della SLA.
In un precedente studio, il dottor Niccoli aveva già osservato che specifiche alterazioni nel gene C9orf72 inducevano un’anomala elaborazione dello zucchero nel cervello dei moscerini mutati. Attualmente, il dottor Niccoli sta impiegando tecnologie all’avanguardia e approcci sperimentali innovativi per svelare i meccanismi molecolari che conferiscono a determinate cellule nervose nei moscerini una maggiore resistenza ai danni neurodegenerativi associati a questa mutazione genetica. Comprendere questi meccanismi potrebbe aprire nuove strade per lo sviluppo di terapie mirate a proteggere i neuroni vulnerabili nella demenza umana.
Il ruolo cruciale dello smaltimento dei rifiuti proteici nella tenacia neuronale
L’ultima ricerca condotta dal Dottor Niccoli ha portato alla luce una caratteristica distintiva nelle cellule nervose del moscerino della frutta che si dimostrano più resistenti agli effetti deleteri della mutazione nel gene C9orf72, una delle cause genetiche più comuni di demenza frontotemporale (FTD) e sclerosi laterale amiotrofica (SLA). Lo studio ha rivelato che la capacità intrinseca delle cellule nervose di eliminare in modo efficiente gli accumuli di proteine dannose gioca un ruolo fondamentale nella loro sopravvivenza in presenza di questa alterazione genetica.

Il Dottor Niccoli ha utilizzato una metafora illuminante per illustrare questo concetto: “Possiamo immaginare il cervello del moscerino come una città complessa, composta da diversi ‘quartieri’, ognuno dei quali presenta una diversa efficienza nei sistemi di smaltimento dei rifiuti.
Proprio come in una città, i quartieri dotati di infrastrutture efficienti per la raccolta differenziata e il riciclaggio sono meglio preparati a fronteggiare eventi imprevisti, come alluvioni o fuoriuscite di sostanze chimiche, rispetto a quelli che ne sono sprovvisti. Allo stesso modo, quando abbiamo esaminato le cellule nervose dei moscerini portatori di alterazioni genetiche legate alla FTD e alla SLA, abbiamo osservato che quelle più efficienti nell’eliminare gli accumuli di proteine tossiche erano in grado di sopravvivere, mentre quelle meno attrezzate soccombevano”.
Successivamente, il team di ricerca ha intrapreso un’analisi più approfondita per comprendere i meccanismi molecolari che consentono a queste cellule nervose di sopravvivere nonostante la presenza di proteine dannose. Questo approfondimento è stato reso possibile grazie all’impiego di una tecnologia all’avanguardia chiamata sequenziamento dell’RNA a singola cellula. Questa tecnica sofisticata ha permesso al Dottor Niccoli di esaminare il comportamento genico di singole cellule nervose, rivelando sottili ma cruciali differenze tra le cellule resilienti e quelle che andavano incontro alla morte.

“Grazie a questa potente tecnica, che ci ha permesso di focalizzarci sul profilo genetico di singole cellule cerebrali dei moscerini, abbiamo scoperto che le cellule nervose resilienti mostravano una maggiore attività di una specifica proteina coinvolta nei processi di eliminazione delle scorie cellulari. Quando abbiamo artificialmente potenziato l’attività di questa proteina, chiamata Xbp1, nei moscerini portatori della mutazione C9orf72, abbiamo osservato un significativo miglioramento nella capacità del cervello dei moscerini di contrastare l’effetto tossico degli accumuli proteici causati dall’alterazione genetica”, ha concluso il Dottor Niccoli, evidenziando il potenziale terapeutico di modulare l’attività di questa proteina per proteggere i neuroni nella demenza.
Il potenziale terapeutico di Xbp1
“Questo risultato suggerisce con forza che, almeno nel modello del moscerino della frutta, l’incremento dell’attività della proteina Xbp1 potrebbe esercitare un effetto protettivo significativo contro le conseguenze patologiche derivanti dall’alterazione genetica C9orf72. Tuttavia, è fondamentale sottolineare che al momento non disponiamo di dati che confermino se lo stesso meccanismo di resilienza possa essere traslato e riprodotto nelle cellule nervose umane”, ha precisato il Dottor Niccoli, evidenziando la necessità di ulteriori indagini.
La creazione di mappe dettagliate dell’attività genica a livello di singole cellule cerebrali, come quella realizzata in questo studio, è attualmente fattibile nel modello del moscerino della frutta, il cui cervello presenta una complessità significativamente inferiore rispetto a quello umano. Pertanto, sebbene i principi fondamentali della resilienza neuronale osservati nel moscerino rappresentino un’importante base di partenza, non è ancora chiaro se gli stessi meccanismi operino in modo analogo nel contesto del cervello umano. Ulteriori ricerche approfondite saranno indispensabili per chiarire questo aspetto cruciale e valutare la potenziale rilevanza clinica di queste scoperte.

Il Dottor Niccoli ha delineato i prossimi passi della sua ricerca: “Le nostre prossime fasi di studio saranno focalizzate sulla verifica dell’ipotesi che l’aumento dei livelli di proteine coinvolte nei processi di clearance proteica possa effettivamente incrementare la resilienza alle alterazioni del gene C9orf72 in modelli più pertinenti per la patologia umana. In particolare, condurremo esperimenti su cellule nervose umane coltivate in laboratorio e su modelli murini portatori della mutazione.
Attraverso queste indagini, potremo ottenere un’idea più precisa del potenziale terapeutico di colpire la proteina Xbp1 o proteine con funzioni simili negli esseri umani, aprendo la strada alla scoperta di nuovi farmaci per il trattamento della demenza frontotemporale (FTD) o della sclerosi laterale amiotrofica (SLA)”.
La Dottoressa Jacqui Hanley, responsabile dei finanziamenti per la ricerca presso l’Alzheimer’s Research UK, ha commentato l’importanza di questo lavoro: “La ricerca condotta dal Dottor Niccoli continua a gettare luce su meccanismi fondamentali nella nostra comprensione di una forma rara ma devastante di demenza. Sebbene sia ancora prematuro affermare con certezza se l’aumento dei livelli della proteina Xbp1 o di proteine analoghe possa effettivamente conferire protezione contro la demenza frontotemporale negli esseri umani, l’identificazione di questi processi molecolari che sottendono la resilienza neuronale rappresenta un primo passo cruciale e fondamentale verso la scoperta di nuove strategie terapeutiche per contrastare la demenza”.

La Dottoressa Hanley ha inoltre sottolineato la disparità nel panorama terapeutico delle diverse forme di demenza: “Il morbo di Alzheimer, la causa più comune di demenza, ha recentemente beneficiato di alcuni promettenti sviluppi con l’introduzione di nuovi trattamenti. Tuttavia, persiste una disperata necessità di sviluppare una gamma più ampia di farmaci capaci di intervenire sui complessi meccanismi patologici che sottendono altre forme di demenza, come la demenza frontotemporale, per le quali le opzioni terapeutiche rimangono ad oggi estremamente limitate”.
Lo studio è stato pubblicato su Cell Reports.