A livello globale, si stima che circa 57 milioni di persone convivano con la demenza, una condizione neurodegenerativa che impatta significativamente la qualità della vita e l’autonomia individuale. Sebbene la maggior parte delle diagnosi di demenza riguardi individui anziani, una porzione non trascurabile, stimata intorno al 7% dei casi, si manifesta in età presenile, ovvero in persone al di sotto dei 65 anni. Tuttavia, è plausibile che questa cifra sia sottostimata a causa del persistente sottoriconoscimento della demenza giovanile, una realtà che espone un numero significativo di persone alla potenziale mancanza di supporto e comprensione necessari.

La demenza a esordio precoce: una realtà sottostimata che sfida le percezioni comuni
L’associazione automatica della parola “demenza” con la popolazione anziana rappresenta un pregiudizio radicato che non riflette la complessità della condizione. Contrariamente a questa convinzione diffusa, la demenza non opera distinzioni anagrafiche e può colpire individui di qualsiasi età, inclusi, sebbene raramente, i bambini. Questa errata percezione contribuisce a un pericoloso ritardo diagnostico nei giovani, poiché né i pazienti né, in molti casi, i professionisti sanitari considerano la demenza come una possibile causa dei sintomi emergenti.
La mancata considerazione della demenza a esordio precoce da parte del sistema sanitario si traduce spesso in un percorso diagnostico tortuoso e frustrante per i pazienti. Molti giovani affetti dalla condizione tendono inizialmente a sottovalutare i propri sintomi, attribuendoli ad altre cause meno gravi. Parallelamente, non è raro che i medici curanti non esplorino la possibilità di una demenza in pazienti giovani, talvolta liquidando le loro preoccupazioni con affermazioni come “sei troppo giovane per la demenza”.
Queste esperienze negative generano comprensibilmente frustrazione e un profondo senso di isolamento e incomprensione sia nei pazienti che nelle loro famiglie, che si sentono trascurati e non ascoltati dal sistema di cura. La persistente convinzione che la demenza sia una prerogativa dell’età avanzata costringe le persone con demenza giovanile a una strenua lotta per vedersi riconosciuta la propria condizione.

La demenza viene spesso semplicisticamente associata alla perdita di memoria a breve termine. Tuttavia, la cognizione umana è un sistema intricato che comprende una vasta gamma di processi mentali, dal pensiero astratto alla percezione sensoriale. Di conseguenza, la demenza può manifestarsi attraverso uno spettro molto ampio di sintomi che vanno ben oltre i deficit mnemonici. Questi possono includere alterazioni significative della personalità e del linguaggio, difficoltà nel riconoscimento di oggetti familiari (agnosia), problemi nella valutazione delle distanze e nella coordinazione motoria (aprassia), e in alcuni casi, la comparsa di allucinazioni e deliri, che complicano ulteriormente il quadro clinico.
Una differenza cruciale tra la demenza che insorge in età avanzata e quella a esordio precoce risiede nella probabilità di manifestare sintomi iniziali diversi dalla classica perdita di memoria. La ricerca scientifica evidenzia come, in circa un terzo delle persone con malattia di Alzheimer a esordio precoce, i primi segnali della condizione siano rappresentati da problemi di coordinazione motoria e alterazioni della vista. Questa atipicità nella presentazione clinica rende ancora più difficile il riconoscimento precoce della demenza giovanile, sottolineando la necessità di una maggiore consapevolezza e di protocolli diagnostici più sensibili anche per la popolazione più giovane.
Oltre il morbo di Alzheimer
Il termine “demenza” funge da ombrello concettuale per un eterogeneo gruppo di patologie cerebrali che condividono una caratteristica fondamentale: la compromissione progressiva delle funzioni cognitive. Se nel contesto della demenza senile il morbo di Alzheimer rappresenta la causa predominante, attestandosi tra il 50% e il 75% dei casi, lo scenario eziologico si presenta significativamente diverso nella demenza a esordio precoce, ovvero quella diagnosticata in individui al di sotto dei 65 anni. In questa fascia d’età, l’Alzheimer è responsabile solo di circa il 40% delle diagnosi.

Nella demenza a esordio precoce, un ruolo di primo piano è spesso rivestito da condizioni neurodegenerative più rare, tra cui spiccano le demenze frontotemporali (FTD). Queste ultime, pur colpendo una porzione relativamente piccola della popolazione affetta da demenza (circa 1 su 20), si distinguono per il loro impatto selettivo su aree cerebrali cruciali per la personalità, il comportamento sociale, le capacità linguistiche (comprensione ed espressione), l’eloquio e le cosiddette funzioni esecutive, ovvero quelle abilità cognitive di alto livello che ci permettono di pianificare, organizzare e prendere decisioni.
Un esempio specifico di demenza frontotemporale è rappresentato dall’afasia primaria progressiva (PPA), una condizione ancora più rara che affligge circa tre persone su 100.000. La PPA si manifesta primariamente con una progressiva compromissione della capacità di comunicare e di comprendere il linguaggio, con un impatto significativo sulla vita sociale e relazionale degli individui colpiti.
Un’ulteriore peculiarità della demenza a esordio precoce è la maggiore frequenza delle demenze secondarie. Queste forme di demenza non insorgono primariamente come una malattia neurodegenerativa intrinseca al cervello, ma sono la conseguenza di un’altra condizione medica sottostante. Tra le cause di demenza secondaria in età presenile si annoverano diverse malattie neurologiche (come la malattia di Huntington o tumori cerebrali), infezioni virali, abuso cronico di sostanze e traumi cranici significativi. Il riconoscimento della causa sottostante è fondamentale per una gestione clinica appropriata e, in alcuni casi, per la possibilità di interventi terapeutici specifici.

Negli ultimi anni, si è assistito a un lento ma progressivo aumento della consapevolezza riguardo alle forme più rare di demenza a esordio precoce. Un contributo significativo a questa maggiore visibilità è giunto dalle coraggiose testimonianze di personaggi pubblici come Fiona Phillips, Pauline Quirke e Terry Jones, che hanno condiviso apertamente le proprie esperienze con queste condizioni. Tuttavia, nonostante questi importanti passi avanti, la comprensione delle opzioni terapeutiche e della gestione dei sintomi per queste forme meno comuni di demenza rimane ancora limitata.
Le demenze più rare sono spesso associate a quadri sintomatologici atipici, che si discostano dalla classica triade della perdita di memoria, e che frequentemente non vengono riconosciuti come manifestazioni di una patologia neurodegenerativa. Questa atipicità contribuisce significativamente al prolungamento del percorso diagnostico, con conseguente ritardo nell’accesso a un supporto adeguato.
Un’ulteriore complessità deriva dalla notevole sovrapposizione tra i sintomi iniziali della demenza a esordio precoce e quelli comunemente associati a diverse patologie mentali, quali il disturbo bipolare, la psicosi, la depressione e i disturbi d’ansia. Manifestazioni come l’apatia, gli attacchi di panico, l’irritabilità, le allucinazioni e i deliri possono erroneamente indirizzare la diagnosi verso un disturbo psichiatrico, ritardando ulteriormente l’identificazione della sottostante condizione neurodegenerativa.

Anche i primi segnali della demenza giovanile possono essere facilmente fraintesi e attribuiti ad altre condizioni. Nelle donne, ad esempio, alcuni sintomi iniziali possono essere erroneamente interpretati come manifestazioni della menopausa, mentre in altri casi possono essere scambiati per segnali di un periodo di intenso stress lavorativo o “burnout”. È fondamentale sottolineare che non tutte le persone che manifestano questi sintomi svilupperanno una demenza a esordio precoce.
È di primaria importanza accrescere la consapevolezza pubblica riguardo alla potenziale sovrapposizione sintomatologica, al fine di facilitare un processo diagnostico più rapido ed efficiente per coloro che ne sono realmente affetti, consentendo loro di accedere tempestivamente al supporto e alle cure necessarie.
Un mosaico di esperienze individuali
L’esperienza della demenza, in particolare nella sua forma a esordio precoce, si manifesta come un fenomeno profondamente individuale e variabile. La tipologia e la severità dei sintomi che una persona sperimenta non sono fisse, ma sono influenzate da un complesso intreccio di fattori intrinseci ed estrinseci. La salute fisica generale, il contesto sociale in cui l’individuo è inserito e persino i livelli di stress quotidiano possono modulare significativamente la presentazione clinica e il decorso della malattia, contribuendo a una notevole eterogeneità nel modo in cui la demenza viene vissuta.

Un ulteriore elemento che contribuisce alla variabilità dell’esperienza della demenza è rappresentato dalla riserva cognitiva di un individuo. Questa si definisce come la capacità intrinseca del cervello di mantenere una buona funzionalità cognitiva nonostante la presenza di danni o cambiamenti strutturali. Persone con una riserva cognitiva elevata possono inizialmente mostrare sintomi meno evidenti o progredire più lentamente, in quanto il loro cervello è in grado di compensare in modo più efficace i danni causati dalla malattia. Al contrario, individui con una riserva cognitiva inferiore possono manifestare i sintomi più precocemente e in forma più marcata.
La capacità di affrontare le sfide poste dalla demenza a esordio precoce è inoltre influenzata dalle risorse personali e sociali di ciascun individuo. Alcune persone riescono ad adattarsi in modo più efficace alla malattia, attingendo a solide reti di supporto familiare e amicale, a una maggiore resilienza psicologica o a strategie personali di coping ben consolidate. La disponibilità di un sostegno emotivo e pratico adeguato può fare una differenza significativa nel modo in cui una persona convive con la demenza e nella sua capacità di mantenere una buona qualità di vita il più a lungo possibile.
La combinazione di tutti questi fattori di variabilità rende particolarmente difficile il riconoscimento dei sintomi della demenza a esordio precoce, specialmente nelle sue fasi iniziali. La presentazione atipica, la sovrapposizione con altre condizioni mediche e psichiatriche, e la tendenza a sottovalutare i sintomi in persone giovani contribuiscono a un significativo ritardo diagnostico. Questo mancato riconoscimento precoce ha conseguenze significative, poiché si traduce in una carenza di risorse specialistiche, di assistenza mirata, di consulenza appropriata e di un supporto adeguato per le persone affette da demenza giovanile e per le loro famiglie.

Sebbene la consapevolezza sulla demenza a esordio precoce stia gradualmente aumentando, grazie anche alle testimonianze pubbliche e alla crescente attenzione della ricerca, è ancora imperativo intensificare gli sforzi di sensibilizzazione, in particolare rivolti alla popolazione più giovane. La ricerca scientifica suggerisce che la progressione del declino cognitivo tende ad essere più rapida negli individui in cui la demenza insorge in età presenile rispetto agli anziani. Pertanto, una diagnosi precoce e un intervento tempestivo sono ancora più cruciali per rallentare la progressione della malattia e per fornire il supporto necessario fin dalle prime fasi.
Se sussistono preoccupazioni riguardo alla comparsa di segni di demenza in sé stessi o in un familiare, è fondamentale affrontare apertamente i sintomi e cercare un consulto medico il prima possibile. In aggiunta al parere del proprio medico curante, è possibile rivolgersi a organizzazioni locali specializzate nel supporto alla demenza. Queste associazioni possono fornire informazioni dettagliate sulla condizione, risorse utili, indicazioni sui percorsi diagnostici e sulle opzioni di supporto disponibili a livello locale, offrendo un aiuto prezioso per affrontare le sfide poste dalla demenza a esordio precoce.
Lo studio è stato pubblicato su JAMA network.