Può un robot diventare madre? In Cina dicono di sì. Il progetto si chiama robotic birth e promette di cambiare per sempre il concetto di gravidanza. Il prototipo è già in fase avanzata e, se tutto andrà come previsto, nel 2026 potremmo assistere alla nascita del primo essere umano cresciuto interamente in un utero artificiale. Dentro un robot.
Il tutto nasce nei laboratori di Kaiwa Technology, dove il dottor Zhang Qifeng guida una squadra convinta che il futuro della riproduzione umana passerà attraverso l’elettronica e la bioingegneria. Ma la domanda è inevitabile: siamo pronti?
Come funziona il parto robotico?
L’idea è semplice quanto inquietante: costruire un androide con un utero artificiale integrato nel torso, capace di ospitare un feto per nove mesi. Il feto viene immerso in un liquido amniotico sintetico, nutrito attraverso un tubo che simula il cordone ombelicale e monitorato in tempo reale da sensori.
Il robot può persino replicare i movimenti tipici di una gravidanza naturale, come i piccoli scatti del pancione. E, dettaglio che non passa inosservato, comunica con i genitori, offrendo una forma di “gravidanza condivisa” tra uomo e macchina. Distopico o geniale?
Addio maternità surrogata?
Secondo Kaiwa Technology, il robot potrebbe essere l’alternativa perfetta alla gestazione per altri. Non costa poco circa 100.000 yuan, ovvero 14.000 dollari ma resta comunque molto più economico della surrogacy negli Stati Uniti, dove si arriva facilmente a 200.000 dollari. Per molte coppie infertili, potrebbe sembrare un sogno. Ma a che prezzo?
Per ora, non sono stati rivelati i dettagli su come avvenga la fecondazione e l’impianto dell’embrione nell’utero artificiale. E questo solleva un altro gigantesco punto interrogativo sulla trasparenza scientifica del progetto.
L’etica? Un campo minato

Il dibattito è esploso immediatamente. Sui social cinesi come Weibo, c’è chi esulta e chi si scandalizza. C’è chi spera di evitare i rischi e i dolori della gravidanza, e chi invece vede nel robot una minaccia all’essenza stessa della maternità. La comunità scientifica è spaccata a metà.
Molti temono che la tecnologia venga usata non solo per scopi medici, ma anche per derive inquietanti: selezione genetica, nascite su commissione, fabbriche di bambini. Come si tutela il diritto del neonato? Chi è il genitore legale? E il legame affettivo, dove va a finire?
La risposta della Cina
In provincia di Guangdong si sta già discutendo un quadro normativo che regoli questa nuova frontiera della biotecnologia. Ma sarà sufficiente?
Le autorità cinesi vogliono evitare che la tecnologia venga percepita come “fredda” o disumanizzante. L’obiettivo dichiarato è aiutare chi non può avere figli, non sostituire del tutto la gravidanza naturale. Ma l’equilibrio è sottile.
Il futuro sarà davvero così?
Secondo Zhang Qifeng, “la tecnologia dell’utero artificiale è già matura. Ora va solo integrata nel robot affinché l’interazione con la persona sia reale”. Una frase che fa discutere, soprattutto perché l’orizzonte temporale è vicino: 2026.
Nel frattempo, la società Kaiwa Technology si prepara al lancio e l’opinione pubblica osserva con un misto di stupore, fascino e paura.

Visione o incubo?
Da una parte, il parto robotico potrebbe rappresentare una svolta per milioni di coppie in tutto il mondo. Dall’altra, apre scenari sociali e psicologici senza precedenti.
La medicina riproduttiva sta andando oltre i limiti biologici. Ma la vera domanda non è se la tecnologia sia possibile. È se sia giusta. E se siamo davvero pronti a vivere in un mondo dove mettere al mondo un figlio diventa un processo industriale.
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