Il panorama della chirurgia robotica ha da tempo suscitato entusiasmo e dibattito: da un lato, le promesse di precisione millimetrica e ripetibilità; dall’altro, la consapevolezza che l’imprevisto può sempre svelarsi in sala operatoria. Finora, i sistemi più avanzati come il celebre «Da Vinci» richiedono operatori umani esperti e agiscono secondo istruzioni preimpostate o sotto controllo diretto.

Ciononostante, un articolo pubblicato il 9 luglio 2025 segna una svolta cruciale per la chirurgia robotica, per la prima volta, un sistema robot ha eseguito in autonomia una parte significativa di un intervento complesso –la rimozione della colecisti– su tessuto ex vivo, compiendo tutti i 17 passi previsti con successo al 100%, senza alcun intervento umano diretto.
Dietro questo progresso c’è il sistema chiamato Surgical Robot Transformer‑Hierarchical (SRT‑H), sviluppato presso la Johns Hopkins University in collaborazione con altri istituti; invece di ripetere istruzioni rigide, SRT‑H è stato addestrato guardando decine di video chirurgici su cadaveri suini, corredati da didascalie testuali che traducono le azioni in concetti semantici.
Questa combinazione tra visione artificiale e comprensione del linguaggio naturale consente al robot di operare in modo flessibile identificando strutture anatomiche, posizionando clip, sezionando tessuto con forbici, correggendo autonomamente eventuali deviazioni, perfino rispondere a comandi vocali in tempo reale come «afferra la testa della colecisti» o «muovi il braccio sinistro un po’ a sinistra».
Il cuore del sistema è un’architettura gerarchica: un livello superiore (high‑level) pianifica la sequenza operativa in termini di compiti di alto livello, mentre un livello inferiore (low‑level) si occupa di generare traiettorie di movimento per ciascun passo. In aggiunta, l’approccio consente di correggere errori man mano che si presentano, garantendo una capacità di adattamento che prima era impensabile nei contesti chirurgici reali, dove le condizioni cambiano rapidamente e in modo imprevedibile (da variazioni anatomiche a condizioni visive disturbate).
I risultati di questo esperimento di chirurgia robotica sono impressionanti: su otto campioni di colecisti suine ex vivo, il robot ha operato con successo senza intervento umano, raggiungendo un tasso di completamento del 100 % in ogni fase, diversamente dagli approcci tradizionali che spesso richiedono ambiente controllato o marcatori artificiali sui tessuti.

Anche quando i ricercatori hanno introdotto variabili inattese —cambiando posizione iniziale del robot o aggiungendo coloranti che alteravano l’aspetto visivo dei tessuti— SRT‑H si è adattato efficacemente e ha completato la procedura senza errori.
Questo successo di chirurgia robotica rappresenta più di un semplice esperimento, infatti segna un importante passo verso la chirurgia robotica autonoma clinicamente valida. Come ha affermato Axel Krieger, medico robotico presso la Johns Hopkins:
«questo sistema non segue più una rotta prefissata quasi come un GPS: naviga in qualsiasi condizione, rispondendo a ciò che incontra sul percorso».
Analogamente, Ji Woong “Brian” Kim, autore principale del paper sulla chirurgia robotica, sottolinea che si tratta di superare barriere fondamentali: ora è dimostrato che modelli di intelligenza artificiale possono raggiungere livelli di affidabilità adeguati per applicazioni chirurgiche autonome nel mondo reale.
Il sistema si basa su concetti di imitazione guidata dal linguaggio, che permette di costruire una struttura decisionale che ricorda l’apprendimento graduale di un chirurgo in formazione: dall’apprendere singoli gesti (come maneggiare un ago, sollevare tessuti, suturare) alla coordinazione di sequenze più lunghe e complesse, recuperando da eventuali errori in corso d’opera.
Un banco di prova realistico per la chirurgia robotica

Il valore scientifico del lavoro pubblicato non risiede soltanto nell’aver sviluppato un robot capace di eseguire una procedura chirurgica, ma nel contesto realistico in cui la sperimentazione è avvenuta. Gli esperimenti sono stati condotti su tessuti biologici reali —colecisti suine ex vivo— che ricreano fedelmente le condizioni visive e tattili di un’operazione su paziente umano, un dettaglio che è cruciale: molti esperimenti precedenti in ambito di chirurgia robotica si limitavano a simulazioni su modelli sintetici, o ad ambienti altamente controllati con punti di riferimento artificiali.
Il sistema SRT-H, invece, è stato messo alla prova in condizioni variabili e imprevedibili, con l’obiettivo dichiarato di testare non solo la capacità esecutiva, ma anche la robustezza decisionale.
Durante i test, i ricercatori hanno volutamente alterato alcuni parametri della procedura per verificare la resilienza del sistema, ed in alcuni casi è stato modificato l’angolo di partenza del robot; in altri, sono stati inseriti coloranti nei tessuti per disturbare i riferimenti visivi.
In scenari tradizionali, queste perturbazioni rischiano di mandare in crisi il sistema operativo o di richiedere l’intervento manuale di un chirurgo, ma lel caso di SRT-H, invece, il robot ha dimostrato la capacità di riorganizzare autonomamente la sequenza delle azioni, riposizionare gli strumenti, o persino ripetere un passo se l’esecuzione precedente non aveva raggiunto la soglia di accuratezza.
I rischi dell’autonomia in un intervento di chirurgia robotica
Malgrado ciò, dietro l’entusiasmo per il progresso tecnico si cela una serie di questioni etiche e cliniche tutt’altro che secondarie. La chirurgia robotica, per quanto supportata dalla tecnologia, resta un atto medico che coinvolge la vita e la salute delle persone, ed introducendo un elemento del genere, si apre inevitabilmente un dibattito sulla responsabilità: chi risponde, in ultima analisi, se qualcosa va storto?

Nel caso di un chirurgo umano, l’errore può essere analizzato in base alla formazione, all’esperienza, alla condizione del paziente, ma in presenza di un’intelligenza artificiale autonoma, la catena decisionale si frammenta tra sviluppatori, ingegneri, clinici, aziende produttrici.
Questo solleva interrogativi profondi: può un automa essere considerato “responsabile” di un’azione di chirurgia robotica? Oppure la responsabilità ricade sempre su chi ne ha autorizzato l’impiego? In ambito legale e assicurativo, le risposte a queste domande sono tutt’altro che definite.
C’è poi la questione dell’accettazione sociale, anche ammesso che un sistema robotico superi i test clinici e venga ritenuto sicuro, i pazienti saranno disposti a farsi operare da una macchina? Le persone si fidano della tecnologia finché non tocca il corpo, la salute, il dolore.
L’idea di un intervento di chirurgia robotica può suscitare ansia, sfiducia, persino opposizione culturale o religiosa, in questo senso, sarà fondamentale accompagnare lo sviluppo tecnologico con trasparenza, regolamentazione e comunicazione pubblica, affinché la robotica chirurgica non sia percepita come un’imposizione, ma come una scelta consapevole.
Per concludere, rimane la sfida dell’equità di accesso, le tecnologie all’avanguardia tendono inizialmente a concentrarsi nei grandi centri, in contesti ad alto reddito, lasciando indietro le strutture più piccole o i paesi meno sviluppati. Se la chirurgia robotica diventerà una realtà, bisognerà evitare che essa accentui ulteriormente il divario sanitario tra chi può permettersela e chi no.
La ricerca condotta dal team della Johns Hopkins e presentata su Science Robotics è senza dubbio un tassello fondamentale nella storia della chirurgia tecnologica, per la prima volta, un robot ha eseguito in autonomia un intervento complesso, adattandosi a imprevisti, rispondendo a comandi vocali e completando ogni passaggio con successo, ma come ogni rivoluzione, anche questa porta con sé promesse e pericoli.

Se da un lato ci avviciniamo a una medicina più precisa, standardizzata e potenzialmente accessibile anche in contesti remoti, dall’altro siamo chiamati a riflettere con attenzione sulle implicazioni etiche, legali e sociali. L’autonomia in sala operatoria non è solo una questione di ingegneria: è una trasformazione profonda del rapporto tra medico, paziente e tecnologia, e il futuro sarà fatto anche di robot che operano da soli, ma spetterà a noi decidere come, quando e per chi.
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