Te lo ricordi quel periodo in cui si parlava del mare che “invadeva” i fiumi? Sì, non era una bufala da social: è successo davvero, e ha un nome ben preciso.
Cuneo salino. Suona tecnico, quasi innocuo. Ma in realtà è uno dei segnali più evidenti – e più sottovalutati – del disastro idrico che può colpire l’Italia quando manca la pioggia.
Nel 2022 e ancora nel 2023, la situazione era fuori controllo: il fiume Po era così in secca che l’acqua salata dell’Adriatico è risalita nell’entroterra per decine di chilometri, contaminando campi, falde, pozzi, e mettendo in crisi l’agricoltura di intere regioni.
Ma quindi, cos’è esattamente il cuneo salino?

È semplice: quando un fiume ha poca acqua, non riesce più a “spingere” il mare indietro. E così l’acqua salata si infiltra, risale, e arriva fino a zone che dovrebbero essere alimentate solo da acqua dolce.
Un fenomeno naturale, per carità, ma che diventa un problema serio quando la portata del fiume cala troppo – ad esempio, durante un’estate torrida con zero pioggia e montagne senza neve.
Il Po è stato l’epicentro dell’emergenza: a luglio 2022, il cuneo salino ha superato i 30 km di penetrazione nell’entroterra, arrivando quasi alle porte di Adria e Rosolina. Un disastro per chi irrigava i campi o si approvvigionava da pozzi superficiali.
Perché succede sempre più spesso?
Per due motivi: il primo è la siccità, ovviamente. E il secondo è ancora più strutturale: usiamo troppa acqua. L’agricoltura intensiva del Nord Est, i prelievi da fiumi e canali, le falde sfruttate al limite…
Tutto questo riduce il “cuscinetto” idrico che serve a respingere il mare.
E se aggiungiamo il cambiamento climatico? Beh, il mix è esplosivo: meno neve sulle Alpi in inverno = meno acqua nei fiumi in estate. E quindi più rischio che il mare si infili dove non dovrebbe.
Ma oggi, il cuneo salino c’è ancora?

La buona notizia è che nel 2024 la situazione è migliorata, almeno in apparenza. L’inverno è stato più piovoso, le nevicate sulle Alpi discrete, e la primavera ha portato piena e acqua in quantità.
Il cuneo si è ritirato, e in alcune zone è quasi sparito.
Ma attenzione: il problema non è risolto. È solo rimandato.
Appena tornerà un’estate calda e secca (e spoiler: arriverà), il fenomeno potrebbe ripresentarsi con la stessa forza. O peggio.
Le contromisure: cosa si sta facendo davvero?
Le istituzioni non sono rimaste ferme, almeno sulla carta. Ecco cosa è stato messo in campo finora:
- Barriere antisale provvisorie: nel Delta del Po, soprattutto in Veneto, sono stati installati sbarramenti temporanei per bloccare la risalita dell’acqua salata.
- Piano nazionale contro il cuneo salino: stanziati oltre 20 milioni per opere strutturali alla foce dell’Adige, incluso un progetto per una barriera mobile.
- Monitoraggi costanti: le agenzie ambientali regionali come ARPAE e l’Autorità di Bacino del Po raccolgono dati in tempo reale sulla salinità e sull’avanzamento del cuneo.
Ma manca ancora un piano strutturale, stabile e coordinato a livello nazionale. E i progetti a lungo termine faticano a partire.
Perché dovresti preoccupartene anche tu
Il cuneo salino non riguarda solo i coltivatori o gli ingegneri idraulici. Se vivi nel Nord Italia, potresti bere acqua che arriva da zone a rischio salinizzazione.
Se mangi prodotti coltivati nel Delta del Po, potresti trovarti in tavola ortaggi irrigati con acqua sempre meno dolce.
E se le falde si salinizzano troppo? Recuperarle è quasi impossibile.
Il mare che risale i fiumi non è fantascienza, è già successo. E se non cambiamo rotta, succederà di nuovo.
La prossima volta, potremmo non essere così fortunati.
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