Una nuova ricerca ha dimostrato che le cellule tumorali possono ridursi o sovradimensionarsi per sopravvivere al trattamento farmacologico o ad altre sfide nel loro ambiente.
Gli scienziati dell’Institute of Cancer Research di Londra hanno combinato tecnologie di profilazione biochimica con analisi matematiche per rivelare come i cambiamenti genetici portino a differenze nelle dimensioni delle cellule tumorali e come questi cambiamenti potrebbero essere sfruttati da nuovi trattamenti.
I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Science Advances.
Cellule tumorali: ecco cosa fanno per sopravvivere
I ricercatori ritengono che le cellule più piccole potrebbero essere più vulnerabili agli agenti che danneggiano il DNA come la chemioterapia combinata con farmaci mirati, mentre le cellule tumorali più grandi potrebbero rispondere meglio all’immunoterapia.
La nuova ricerca combina l’innovativa analisi delle immagini ad alta potenza con l’esame del DNA e delle proteine per studiare il controllo delle dimensioni in milioni di cellule tumorali della pelle.
Il melanoma del cancro della pelle è guidato da due diverse mutazioni genetiche: il 60% dei casi è causato da una mutazione del gene BRAF, mentre dal 20% al 30% dei casi è causato da una mutazione NRAS.
I ricercatori hanno deciso di studiare le differenze di dimensioni e forma delle cellule tumorali della pelle che ospitano le due mutazioni, utilizzando algoritmi matematici per analizzare enormi quantità di dati su DNA e proteine.
La differenza principale era la dimensione della cella. Le cellule tumorali mutanti BRAF erano molto piccole mentre le cellule tumorali mutanti NRAS erano molto più grandi. Le cellule NRAS resistenti ai farmaci erano ancora più grandi.
Le cellule tumorali più piccole sembrano essere in grado di tollerare livelli più elevati di danno al DNA, poiché sono molto concentrate con proteine che riparano il DNA, come le proteine PARP, BRCA1 o ATM1.
I ricercatori dell’ICR ritengono che ciò potrebbe renderli più vulnerabili a farmaci come gli inibitori di PARP, farmaci che bloccano le proteine responsabili della riparazione del danno al DNA, specialmente se combinati con agenti che danneggiano il DNA come la chemioterapia.
Al contrario, le cellule tumorali mutanti NRAS più grandi contenevano danni al loro DNA invece di ripararlo, accumulando mutazioni e ingrandendosi. Queste cellule più grandi non erano così dipendenti dai meccanismi di riparazione del DNA, quindi l’uso della chemioterapia e degli inibitori PARP contro di loro potrebbe non essere altrettanto efficace.
Gli scienziati ritengono che le cellule tumorali più grandi potrebbero essere più sensibili all’immunoterapia, perché il loro numero maggiore di mutazioni potrebbe farle sembrare più estranee al corpo. Stanno già esplorando questa teoria con ulteriori studi.
I ricercatori ritengono che le mutazioni BRAF e NRAS possano guidare le differenze nelle dimensioni delle cellule tumorali regolando i livelli di una proteina nota come CCND1, che è coinvolta nella divisione cellulare, nella crescita e nel mantenimento del citoscheletro, e le sue interazioni con altre proteine.
Sebbene lo studio si sia concentrato sulle cellule tumorali della pelle, i ricercatori sospettano che questa capacità di spostamento delle dimensioni e il suo impatto sulla risposta al trattamento siano comuni a più tipi di cancro. Hanno già identificato meccanismi simili nel cancro al seno e ora stanno studiando se i risultati potrebbero essere applicati ai tumori della testa e del collo.
La scoperta fornisce nuove informazioni su come la dimensione delle cellule tumorali influisce sulla malattia in generale, consentendo previsioni migliori su come le persone con cancro risponderanno a diversi trattamenti semplicemente analizzando le dimensioni delle cellule.
I farmaci esistenti potrebbero persino essere utilizzati per forzare le cellule tumorali a raggiungere le dimensioni desiderate prima di trattamenti come l’immunoterapia o la radioterapia, che potrebbero migliorarne l’efficacia.
Il leader dello studio, il professor Chris Bakal, professore di morfodinamica del cancro presso l’Istituto di ricerca sul cancro di Londra, ha dichiarato: “Pensiamo al cancro come fuori controllo e imprevedibile, ma abbiamo utilizzato l’analisi delle immagini e la proteomica per mostrare per la prima volta che alcuni fattori genetici e i cambiamenti proteici portano a un cambiamento controllato delle dimensioni delle cellule tumorali, che possono ridursi o crescere per migliorare la loro capacità di riparare o contenere i danni al DNA, e questo a sua volta può renderle resistenti a determinati trattamenti.
“Pensiamo che la nostra ricerca abbia un vero potenziale diagnostico. Osservando le dimensioni delle cellule tumorali, i patologi potrebbero prevedere se un farmaco funzionerà o se le cellule saranno resistenti. In futuro, potrebbe anche essere possibile utilizzare l’intelligenza artificiale per guidare il patologo , effettuando una rapida valutazione delle dimensioni delle cellule e quindi dei trattamenti che hanno maggiori probabilità di funzionare.
“Speriamo anche che la nostra scoperta porti a nuove strategie di trattamento, ad esempio la creazione di farmaci per colpire le proteine che regolano le dimensioni delle cellule tumorali”.
Il professor Kristian Helin, amministratore delegato dell’Istituto di ricerca sul cancro di Londra, ha dichiarato: “Questo studio intrigante e fondamentale fornisce una correlazione tra le alterazioni genetiche nelle cellule tumorali della pelle e le dimensioni delle cellule. Apre il potenziale dell’utilizzo di alterazioni genetiche e dimensioni delle cellule come biomarcatori per come il cancro della pelle risponderà ai trattamenti. È particolarmente eccitante che la dimensione delle cellule possa anche essere un importante biomarcatore per come altri tumori, come il cancro al seno o alla testa e al collo, rispondono ai trattamenti.
In Italia, secondo l’EpiCentro ISS: “Nel 2022 sono stimate 390.700 nuove diagnosi di cancro (nel 2020 erano 376.600), 205.000 negli uomini e 185.700 nelle donne. In due anni, l’incremento è stato di 14.100 casi. Il tumore più frequentemente diagnosticato, nel 2022, è il carcinoma della mammella (55.700 casi, +0,5% rispetto al 2020), seguito dal colon-retto (48.100, +1,5% negli uomini e +1,6% nelle donne), polmone (43.900, +1,6% negli uomini e +3,6% nelle donne), prostata (40.500, +1,5%) e vescica (29.200, +1,7% negli uomini e +1,0% nelle donne).
La pandemia ha determinato, nel 2020, un calo delle nuove diagnosi, legato in parte all’interruzione degli screening oncologici e al rallentamento delle attività diagnostiche, ma oggi si assiste a una vera e propria epidemia di casi di cancro. Che rischia di peggiorare, se non si pone un argine agli stili di vita scorretti: il 33% degli adulti è in sovrappeso e il 10% obeso, il 24% fuma e i sedentari sono aumentati dal 23% nel 2008 al 31% nel 2021. Dall’altro lato, va letta positivamente la ripresa dei programmi di screening, tornati nel 2021 ai livelli prepandemici, in particolare quello mammografico raggiunge la copertura del 46%, per il colon-retto del 30% e per la cervice uterina del 35%.
Alla riattivazione dei programmi di prevenzione secondaria corrisponde un incremento del numero di interventi chirurgici per cancro del colon-retto e della mammella, anche in stadio iniziale. E nell’assistenza oncologica assume un ruolo di primo piano la vaccinazione anti Covid. Il rischio di morte, tra le persone con storia di cancro e positività all’infezione da SARS-CoV-2, è 2-3 volte superiore tra quelle non vaccinate rispetto alle vaccinate.
È il censimento ufficiale, giunto alla dodicesima edizione, che descrive gli aspetti relativi alla diagnosi e terapia delle neoplasie grazie al lavoro dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), AIRTUM (Associazione Italiana Registri Tumori), Fondazione AIOM, Osservatorio Nazionale Screening (ONS), PASSI (Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia), PASSI d’Argento e della Società Italiana di Anatomia Patologica e di Citologia Diagnostica (SIAPEC-IAP), raccolto nel volume “I numeri del cancro in Italia 2022”, presentato oggi in una conferenza stampa a Roma, al Ministero della Salute, con l’intervento del Ministro, Prof. Orazio Schillaci.
A fronte dei due milioni e mezzo di cittadini che vivevano in Italia nel 2006 con una pregressa diagnosi di tumore, si è passati a circa 3,6 milioni nel 2020, il 37% in più di quanto osservato solo 10 anni prima. L’aumento è stato particolarmente marcato per coloro che vivono da oltre 10 o 15 anni dalla diagnosi. Nel 2020, circa 2,4 milioni di persone (65% del totale) hanno ricevuto la diagnosi da più di 5 anni, mentre 1,4 milioni (39% del totale) da oltre un decennio. Sono oltre un quarto (27%) le persone guarite tra quelle che vivono dopo una diagnosi di tumore”.
Tra i tumori maligni più difficili da trattare, troviamo il tumore al polmone che sono la seconda neoplasia più frequente negli uomini (15%) e la terza nelle donne (6%). Se si associano le informazioni riguardanti i due sessi ci troviamo di fronte al cancro maligno più diffusa in assoluto. In Italia circa 41.000 nuove diagnosi stimate per il 2020 con 34.000 decessi e una sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi del 15% per gli uomini e 19% per le donne.
Il Professor Marco Maria Lirici ha dichiarato a tal proposito: “I tumori maligni del polmone rappresentano la seconda neoplasia più frequente negli uomini (15%) e la terza nelle donne (6%). Se combiniamo la incidenza nei due sessi abbiamo la neoplasia maligna più diffusa in assoluto! Conta in Italia circa 41.000 nuove diagnosi stimate per il 2020 con 34.000 decessi e una sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi del 15% per gli uomini e 19% per le donne.
Questo tipo di tumore insorge nel 95% dei casi dalla proliferazione neoplastica delle cellule epiteliali che rivestono bronchi, bronchioli e alveoli. Soltanto il restante 5% dei casi origina dal tessuto neuroendocrino (carcinoide polmonare) o dal tessuto linfatico (linfoma polmonare).
Fattori di rischio riconosciuti sono il fumo di sigaretta responsabile dell’85% dei casi, l’inquinamento atmosferico e l’esposizione combinata ad agenti cancerogeni come asbesto, radon e metalli pesanti.
Anche l’infiammazione cronica comporta un rischio aumentato di cancro al polmone: rientrano tra le condizioni predisponenti la broncopneumopatia cronica ostruttiva, la fibrosi polmonare, il deficit di alfa-1-antitripsina e il pregresso trattamento radioterapico per altri tumori come i linfomi. E’ importante sapere che l’inquinamento ambientale (e con questo intendo riferirmi non solo a quello atmosferico ma anche al fumo passivo permanendo in ambienti dove altre persone fumino) è sicuramente causa favorente la insorgenza di questa gravissima patologia.
Nella pratica clinica i vari tipi istologici di carcinoma del polmone derivati dalle cellule epiteliali possono essere ricondotti a due gruppi principali sulla base della probabilità di sviluppare metastasi e sulla risposta alle terapie disponibili: carcinomi a piccole cellule, SCLC (15%) in genere metastatici con alta risposta iniziale alla chemioterapia e carcinomi non a piccole cellule, NSCLC (85%) meno frequentemente metastatici ma anche meno responsivi al trattamento.
I principali sintomi d’esordio clinico sono la tosse o l’emottisi, il calo ponderale, il dolore toracico e la dispnea. La presenza di manifestazioni come disfonia, disfagia, pericardite presuppongono uno stadio molto avanzato della malattia con invasione delle strutture circostanti.
L’analisi dell’espirato, meglio conosciuta come Pneumo-PIPE, rappresenta una procedura diagnostica innovativa, assolutamente non invasiva e si basa su un dispositivo di campionamento per la raccolta del respiro risultando utile per la diagnosi, il monitoraggio e il follow-up della patologia polmonare. La diagnosi precoce è la chiave di volta per arrivare ad una guarigione e l’arma principale è sicuramente la chirurgia.
Purtroppo, ad oggi, solo il 30 % dei tumori polmonari che vengono diagnosticati è passibile di trattamento chirurgico e quindi di guarigione. Negli altri casi le terapie (chemioterapia, radioterapia) hanno, purtroppo, minore efficacia se non rivestono solo un ruolo di palliazione.
La chirurgia non ha alcun ruolo o un ruolo solo marginale nel trattamento dei tumori a piccole cellule. Ad oggi, come si è detto, soltanto un numero limitato di casi di NSCLC viene diagnosticato ad uno stadio precoce tale da consentirne la resezione chirurgica in prima battuta. Gli interventi variano dalle lobectomie polmonari (la asportazione di una sola parte di polmone) alla pneumonectomia (la asportazione di un intero polmone).
Fino a pochi anni fa le lobectomie, che sono gli interventi più diffusi, venivano effettuate a cielo aperto (aprendo il torace dal lato interessato) oggigiorno, nelle mani di chirurghi specializzati in queste tecniche, vengono effettuate mediante toracoscopia, quindi con una procedura mininvasiva sotto guida endoscopica. Nei casi inoperabili, fino allo scorso decennio la chemioterapia rappresentava l’unica chance disponibile per questi pazienti.
La strategia terapeutica è profondamente cambiata negli ultimi anni grazie all’introduzione nel campo dell’oncologia medica dei farmaci a bersaglio molecolare e dell’immunoterapia che possono contribuire nel trattamento neoadiuvante a rendere resecabili i tumori localmente avanzati e nel trattamento adiuvante a ridurre il rischio di recidiva. Allo stadio terminale, il trattamento consiste soltanto nella chemioterapia e/o radioterapia palliativa.
Secondo l’Airc: “Le stime AIRTUM (Associazione italiana registri tumori) parlano di 40.800 nuove diagnosi di tumore del polmone nel 2020 (27.500 negli uomini e 13.300 nelle donne), che rappresentano il 14,1 per cento di tutte le diagnosi di tumore negli uomini e il 7,3 per cento nelle donne. Negli ultimi anni si è osservata una moderata diminuzione dell’incidenza (numero di nuovi casi in un determinato periodo, per esempio un anno) negli uomini, ma un aumento significativo nelle donne: la spiegazione di queste variazioni è l’abitudine al fumo, che è calata nella popolazione maschile ed è invece aumentata in quella femminile.
In base ai dati oggi disponibili, nel corso della vita un uomo su 10 e una donna su 35 possono sviluppare un tumore del polmone, mentre un uomo su 11 e una donna su 45 rischiano di morire a causa della malattia.
Il tumore del polmone è una delle prime cause di morte nei Paesi industrializzati, Italia compresa. In particolare, nel nostro Paese, questa neoplasia è la prima causa di morte per tumore negli uomini e la seconda nelle donne, con quasi 34.000 morti in un anno.
Il più importante fattore di rischio per il tumore del polmone è rappresentato dal fumo di sigaretta: esiste infatti un chiaro rapporto tra questa abitudine e la malattia, e ciò vale anche per l’esposizione al fumo passivo. Più si è fumato (o più fumo si è respirato nella vita), maggiore è la probabilità di ammalarsi. Secondo gli esperti, contano sia la quantità di tempo in cui si è fumato, sia il numero di sigarette fumate.
La durata tuttavia potrebbe essere un fattore ancora più importante: se si inizia a fumare da giovanissimi un pacchetto al giorno e si prosegue per il resto della vita, ci si può ammalare addirittura di più rispetto a chi, comunque esposto ad altissimo rischio, fuma due pacchetti al giorno ma per un tempo più breve. Smettere determina invece una forte riduzione del rischio”.