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Lettura: C’è vita su K2-18b? Forse no. Ma la storia è comunque pazzesca
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NotiziaSpazio

C’è vita su K2-18b? Forse no. Ma la storia è comunque pazzesca

Il pianeta K2-18b sembrava contenere biosignature legate alla vita, ma nuovi studi rimettono tutto in discussione. Ecco cosa sta succedendo davvero.

Massimo 11 ore fa Commenta! 5
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Sembrava la scoperta del secolo. Una firma chimica, lì, su un pianeta lontano 124 anni luce dalla Terra. Un indizio sottile, ma abbastanza forte da far drizzare le orecchie a chi da anni cerca un segnale di vita oltre il nostro mondo. E invece, come spesso succede nella scienza, ci siamo dovuti fermare e fare un bel respiro. Perché no, almeno per ora, non abbiamo trovato la prova definitiva di vita su K2-18b.

Contenuti di questo articolo
Un pianeta promettente (almeno sulla carta)Il problema? Lo eraCambia anche la temperatura, e non di pocoLa scienza funziona così, per fortunaMa è comunque una storia bellissima

Un pianeta promettente (almeno sulla carta)

K2-18b è quello che gli scienziati chiamano un mondo “Hycean”. Che vuol dire? In teoria, è ricoperto da un oceano e ha un’atmosfera densa di idrogeno. In pratica, è uno dei migliori candidati che abbiamo per trovare qualcosa di interessante là fuori. Magari non gli omini verdi, ma almeno qualche microbo, qualche segnale chimico che dica: ehi, qui c’è (o c’è stata) vita.

E a un certo punto, sembrava davvero che ci fossimo. Un team di ricerca guidato da Nikku Madhusudhan, dell’Università di Cambridge, ha detto: ragazzi, forse abbiamo trovato il dimetil solfuro (DMS) e il dimetil disolfuro (DMDS) nell’atmosfera di K2-18b. Ora, sulla Terra queste molecole sono prodotte praticamente solo da forme di vita. Un segnale potente, quasi troppo bello per essere vero.

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Il problema? Lo era

K2-18b

Dopo l’annuncio, sono piovute le critiche. Non per cattiveria, ma per sano scetticismo. Tre team indipendenti hanno preso gli stessi dati del James Webb Space Telescope e hanno provato a rifare i conti. Tra questi, ci sono Rafael Luque e Michael Zhang dell’Università di Chicago, e Luis Welbanks dell’Arizona State University. La loro conclusione? Quei segnali non reggono, almeno non con i dati che abbiamo ora.

Cosa è andato storto? Beh, tanto per cominciare i dati erano rumorosi. Non nel senso che “urlavano”, ma nel senso scientifico: c’erano troppe incertezze, troppe fluttuazioni per poter dire con certezza cosa stessimo guardando. E poi c’è un altro problema: molte molecole organiche si assomigliano quando le osservi nello spettro infrarosso. Quindi magari quel segnale non era DMS, ma… etano. Che è molto meno sexy, perché non implica affatto la presenza di vita.

Cambia anche la temperatura, e non di poco

E non è finita. A complicare le cose c’è pure un grosso salto nella temperatura stimata. Lo stesso team che prima parlava di circa 300 Kelvin (una trentina di gradi Celsius) adesso ha calcolato qualcosa come 422 Kelvin. Tradotto: quasi 150 gradi. Altro che oceano liquido abitabile. Forse lì sotto c’è solo vapore e pressione, altro che acque tranquille e microrganismi felici.

La scienza funziona così, per fortuna

Madhusudhan e colleghi non si sono tirati indietro. Anzi, hanno rilanciato. Hanno rifatto tutto usando modelli più ampi, includendo 650 molecole diverse, e hanno pubblicato un nuovo studio. Il DMS, dicono, rimane “una possibilità interessante”. Ma anche loro ammettono che non è una rilevazione solida. Si parla di “evidenza moderata”. Cioè: forse c’è, forse no. Serve altro.

Nel frattempo, i colleghi delle altre università continuano a spingere perché si usino modelli statistici più rigorosi. Perché una cosa è certa: per dire “abbiamo trovato vita là fuori”, non basta un sussurro. Serve un coro, un dato dopo l’altro, raccolti da strumenti diversi, analizzati da team che non si parlano nemmeno. E questo, per ora, non c’è.

Ma è comunque una storia bellissima

Quello che resta di tutta questa vicenda non è una delusione. Anzi. È il bello del metodo scientifico. Gente che guarda lo stesso cielo e vede cose diverse. Che si scrive, si risponde, si corregge. Che rilancia e si mette in discussione. È così che funziona la scienza vera, quella che non cerca conferme, ma la verità.

E chissà, magari K2-18b ha davvero qualcosa da dirci. Solo che dobbiamo essere pazienti. E molto, molto cauti.

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