Un nuovo studio condotto da ricercatori delle università di Oxford, Leeds e University College London ha gettato nuova luce sulla chimica del nucleo terrestre, rivelando che il carbonio potrebbe essere stato l’elemento decisivo nella formazione del nucleo interno; la ricerca è stata pubblicata su Nature Communications il 4 settembre.

Il cuore della Terra e il mistero del congelamento
Il nucleo interno della Terra è una massa solida ricca di ferro che cresce lentamente man mano che il nucleo esterno, ancora fuso, si raffredda e da decenni però gli scienziati discutono su come sia stato possibile che il nucleo interno iniziasse a solidificarsi: il semplice raffreddamento al punto di fusione non basta, perché il processo dipende anche dalla composizione chimica e da un fenomeno chiamato superraffreddamento.
Per esempio, così come l’acqua nelle nuvole può raffreddarsi fino a -30 °C prima di trasformarsi in grandine, anche il ferro fuso deve raffreddarsi al di sotto del suo punto di fusione prima di cristallizzare.
Ma i calcoli precedenti indicavano che sarebbero stati necessari fino a 1000 °C di superraffreddamento: un valore incompatibile con la storia geologica della Terra, perché avrebbe portato a un nucleo interno troppo grande e a un collasso del campo magnetico.
Il ruolo nascosto degli elementi leggeri
Per risolvere il mistero, i ricercatori hanno simulato al computer le condizioni estreme del nucleo, studiando l’effetto di vari elementi leggeri come silicio, zolfo, ossigeno e carbonio.

Il risultato è stato sorprendente: silicio e zolfo, spesso considerati presenti nel nucleo, in realtà rallentano il congelamento, rendendo necessario un superraffreddamento ancora maggiore. Il carbonio invece ha mostrato l’effetto opposto: favorisce la cristallizzazione.
Il dato chiave: 3,8% di carbonio
Le simulazioni hanno rivelato che con un contenuto di carbonio pari al 2,4% della massa del nucleo, sarebbero stati necessari circa 420 °C di superraffreddamento: ancora troppo, ma con un contenuto di 3,8%, la soglia scende a 266 °C, un valore finalmente compatibile con le osservazioni geologiche e sismiche.
In altre parole, senza questa quantità di carbonio, il nucleo interno solido potrebbe non essersi mai formato.
Una finestra sul cuore inaccessibile della Terra
Lo studio mostra che il nucleo interno si è formato senza “semi di nucleazione” (quelle minuscole particelle che, ad esempio, aiutano l’acqua a congelare trasformandosi in grandine), ma solo grazie alla chimica particolare del suo ambiente.

“È entusiasmante vedere come processi su scala atomica possano controllare la struttura e la dinamica fondamentali del nostro pianeta” ha dichiarato il dottor Alfred Wilson, autore principale dello studio. “Studiare la formazione del nucleo interno ci permette non solo di capire meglio il passato della Terra, ma anche di intuire come il suo cuore potrebbe evolversi in futuro“.
Perché è importante
Il nucleo interno è strettamente legato al campo magnetico terrestre, che protegge la vita sul nostro pianeta dalle radiazioni cosmiche. Comprendere la sua formazione significa dunque capire come la Terra sia rimasta abitabile per miliardi di anni.
Il dibattito su quando il nucleo interno abbia iniziato a solidificarsi (più di due miliardi di anni fa secondo alcuni, meno di mezzo miliardo per altri) resta aperto, ma questo studio porta un tassello fondamentale: il carbonio non è solo un elemento della vita in superficie, ma potrebbe essere stato anche il custode del cuore del pianeta.