Un numero sempre maggiore di individui riesce a superare la diagnosi di cancro, un progresso medico di inestimabile valore. Tuttavia, questa vittoria sulla malattia non sempre segna la fine delle difficoltà. Molti sopravvissuti si trovano a dover affrontare le conseguenze a lungo termine dei trattamenti ricevuti, con un impatto particolarmente significativo sulla loro salute mentale e sul loro benessere generale.

Sopravvivere al cancro: oltre la remissione, l’urgente necessità di cure integrate
Un recente studio condotto da ricercatori della Northwestern Medicine ha evidenziato una lacuna critica nell’assistenza fornita ai pazienti che hanno sconfitto il cancro alla testa e al collo e che sono stati sottoposti a radioterapia. L’indagine ha rivelato che la maggior parte di questi sopravvissuti non è adeguatamente informata sull’esistenza e sulla disponibilità di specifiche “cure per i sopravvissuti”, nonostante una considerevole percentuale di essi debba convivere con effetti collaterali persistenti e debilitanti, quali secchezza cronica delle fauci, difficoltà di deglutizione e un significativo stress psicologico.

I protocolli di follow-up standardizzati per i pazienti oncologici si concentrano prevalentemente sul monitoraggio per l’eventuale recidiva della malattia. Tuttavia, con il prolungarsi della sopravvivenza, emergono nuove e complesse esigenze sanitarie. I sopravvissuti a lungo termine possono necessitare di una gestione integrata delle malattie croniche preesistenti o insorte a seguito delle terapie, di interventi di prevenzione mirati e, soprattutto, di un supporto psicosociale adeguato per affrontare le sfide emotive, psicologiche e sociali legate alla loro esperienza oncologica.
Verso un modello di cura Integrato e personalizzato
Al fine di comprendere appieno la natura e la portata di queste esigenze spesso trascurate, gli scienziati della Northwestern hanno condotto un’analisi dettagliata attraverso interviste con 317 individui sopravvissuti a tumori della testa e del collo, che avevano ricevuto trattamenti radioterapici e altre terapie nel decennio compreso tra il 2013 e il 2023.
I risultati dell’indagine hanno rivelato una situazione preoccupante: oltre il 70% dei partecipanti ha riferito che le proprie problematiche di salute mentale non sono state affrontate in modo adeguato durante il percorso di cura oncologico. Inoltre, solo una minoranza, pari al 28%, ha dichiarato di aver ricevuto informazioni chiare e utili su come accedere a specifici programmi di assistenza e supporto dedicati ai sopravvissuti al cancro. È significativo notare che la maggior parte degli intervistati aveva completato la terapia entro i due anni precedenti la conduzione dello studio, e che circa il 15% di essi è risultato positivo allo screening per la depressione, evidenziando una vulnerabilità psicologica tutt’altro che marginale in questa popolazione.

L’indagine ha inoltre quantificato la persistenza e l’impatto degli effetti collaterali fisici a lungo termine. Una percentuale considerevole di sopravvissuti, pari al 40%, continua a soffrire di secchezza cronica delle fauci, una condizione che può compromettere significativamente la qualità della vita, influenzando la capacità di parlare, mangiare e deglutire. Inoltre, circa un quarto dei partecipanti ha segnalato difficoltà nella deglutizione, alterazioni del gusto e problemi dentali, ulteriori complicanze che richiedono una gestione continua e mirata.
“Il fatto che le persone vivano più a lungo dopo una diagnosi di cancro è un risultato meraviglioso del progresso scientifico e medico”, ha affermato con determinazione l’autrice principale dello studio, la dottoressa Laila Gharzai, professoressa associata di radioterapia presso la Feinberg School of Medicine della Northwestern University e medico presso la Northwestern Medicine. “Tuttavia, negli Stati Uniti, l’offerta e persino la discussione di un’assistenza completa e integrata per la sopravvivenza rimangono rare. I nostri pazienti con tumori della testa e del collo sottoposti a radioterapia ci hanno chiaramente espresso le loro esigenze insoddisfatte. Ora abbiamo l’opportunità di sviluppare programmi che rispondano realmente alle loro necessità specifiche, colmando questa lacuna critica nel sistema di cura.”
La dottoressa Gharzai ha sottolineato come la progettazione di questi nuovi programmi debba necessariamente basarsi sul Cancer Survivorship Framework, un modello concettuale emergente che affronta in modo olistico cinque aree fondamentali della vita del sopravvissuto: la gestione degli effetti fisici tardivi, il supporto alla salute psicosociale, lo screening continuo per la rilevazione precoce di eventuali recidive, la gestione delle comorbilità croniche e la promozione di uno stile di vita sano.

“Questo approccio globale e integrato può essere esteso con successo non solo ai pazienti sopravvissuti al cancro della testa e del collo, ma anche a tutti gli altri tipi di tumore in cui i pazienti si trovano a convivere con le conseguenze a lungo termine delle terapie ricevute”, ha concluso la dottoressa Gharzai, auspicando una trasformazione culturale nell’approccio all’assistenza oncologica post-trattamento.
Al fine di comprendere appieno le esigenze e le preferenze dei pazienti riguardo alla strutturazione del loro percorso di cura post-trattamento, i ricercatori hanno posto una domanda diretta ai partecipanti allo studio su come avrebbero idealmente desiderato che fosse organizzata la loro assistenza per la sopravvivenza. Una significativa percentuale, quasi la metà del campione intervistato, ha espresso una chiara preferenza per visite cliniche più lunghe, programmate con una frequenza di sei-dodici mesi, che permettessero di affrontare in maniera esaustiva tutte le problematiche mediche, psicologiche e sociali in un’unica occasione.
Una significativa percentuale, quasi la metà del campione intervistato, ha espresso una chiara preferenza per visite cliniche più lunghe, programmate con una frequenza di sei-dodici mesi, che permettessero di affrontare in maniera esaustiva tutte le problematiche mediche, psicologiche e sociali in un’unica occasione. Questa preferenza per un approccio più consolidato e meno frammentato si è rivelata particolarmente marcata tra le pazienti di sesso femminile e tra coloro che avevano completato il trattamento oncologico in un periodo di tempo più recente.

Alexis Larson, infermiera certificata presso la Northwestern Medicine e prima autrice dello studio, ha sottolineato con forza come un’assistenza completa e realmente efficace per i sopravvissuti non possa essere adeguatamente erogata attraverso visite cliniche brevi e frequenti, spesso focalizzate su singoli aspetti specifici. Al contrario, un modello di cura ottimale richiede un approccio multidisciplinare e integrato, che coinvolga un team di professionisti sanitari specializzati in diverse aree di competenza.
Questo team dovrebbe idealmente includere oncologi, dietisti, psicologi o consulenti specializzati e assistenti sociali, al fine di offrire ai sopravvissuti il supporto olistico e completo che meritano per affrontare le molteplici sfide che la sopravvivenza al cancro comporta. Solo attraverso una collaborazione sinergica tra diverse figure professionali e attraverso la disponibilità di tempo adeguato durante le visite cliniche è possibile rispondere in modo esaustivo alle complesse esigenze fisiche, psicologiche e sociali di questi pazienti.
L’imperativo crescente dell’assistenza alla sopravvivenza oncologica
I risultati di questa ricerca mettono inesorabilmente in luce un’esigenza sanitaria sempre più pressante, strettamente correlata alla continua e significativa crescita della popolazione dei sopravvissuti al cancro. Secondo i dati pubblicati dal Journal of the National Cancer Institute nel 2022, negli Stati Uniti si contavano ben 18,1 milioni di persone che avevano superato la malattia oncologica, rappresentando circa il 5,4% dell’intera popolazione nazionale.

Le proiezioni future, che tengono conto dei costanti progressi nelle tecniche di diagnosi e trattamento del cancro, unitamente all’invecchiamento demografico generale, indicano un aumento esponenziale di questa cifra, con la previsione di raggiungere i 26 milioni di sopravvissuti entro il 2040. Questa tendenza demografica sottolinea l’urgenza di ripensare e potenziare i modelli di assistenza post-trattamento per garantire una qualità di vita ottimale a questa crescente coorte di pazienti.
Il team di ricerca guidato dalla dottoressa Gharzai non si è limitato alla mera constatazione delle lacune esistenti nell’assistenza ai sopravvissuti. Con un approccio proattivo e orientato alla soluzione, stanno attivamente traducendo le preziose intuizioni derivanti dal loro studio in azioni concrete e tangibili. Inizialmente focalizzandosi sui pazienti affetti da tumori della testa e del collo, stanno creando un centro di sopravvivenza personalizzato all’interno del Dipartimento di Radioterapia del Northwestern Memorial Hospital. La struttura e l’organizzazione di questo nuovo centro saranno interamente basate sui cinque ambiti fondamentali delineati dal Cancer Survivorship Framework, garantendo un approccio olistico e multidisciplinare all’assistenza.
Riconoscendo che le esigenze di salute mentale sono emerse come la lacuna più significativa e urgente da colmare nell’assistenza ai sopravvissuti, il team sta parallelamente sviluppando e implementando uno studio pilota innovativo. Questo studio si propone di testare l’efficacia dell’integrazione di un programma di formazione validato basato sulla terapia cognitivo-comportamentale (CBT) all’interno del percorso di cura oncologico. L’obiettivo primario di questo intervento psicologico mirato è quello di fornire ai pazienti gli strumenti e le strategie necessarie per gestire in modo più efficace il dolore cronico, l’ansia e la depressione, sia durante il periodo attivo di radioterapia che nella fase successiva della sopravvivenza.

Il nuovo servizio di assistenza alla sopravvivenza che sta prendendo forma si integrerà sinergicamente con le cliniche di sopravvivenza più ampie già offerte dal Robert H. Lurie Comprehensive Cancer Center della Northwestern University. Tuttavia, un elemento distintivo e cruciale di questa nuova iniziativa risiede nella previsione di un follow-up completo e continuativo direttamente all’interno della struttura ospedaliera in cui molti pazienti hanno ricevuto le loro cure oncologiche primarie. Questa prossimità e continuità assistenziale mirano a facilitare l’accesso ai servizi di supporto specializzati, a ridurre il carico logistico per i pazienti e a promuovere una relazione terapeutica più solida e duratura tra i sopravvissuti al cancro e il team di cura.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Supportive Care in Cancer.