Una squadra di scienziati dell’Università di Manchester hanno dimostrato che i test per due famiglie di geni legate a un rischio di cancro ovarico epiteliale compreso tra il 5% e il 20% hanno un tasso di rilevamento molto più alto del previsto. I test di routine per le mutazioni nei geni di ricombinazione omologa (HR) e di riparazione del disadattamento (MMR) nelle donne con la malattia che hanno anche una storia familiare di cancro alle ovaie, al seno e altri tumori, salverebbero vite, dicono.
I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Genetics in Medicine.
Test di routine per il.cancro ovarico: eccor perché sono importanti
La nuova ricerca è la più grande portata avanti fino ad oggi sul cancro che causa mutazioni genetiche nel cancro ovarico . Il team di ricerca ha testato 277 donne con cancro ovarico ai cui parenti stretti era stata diagnosticata la malattia nel corso della loro vita. Di coloro che sono risultati negativi al test per le mutazioni del gene BRCA1 e 2, il 22% era positivo per HR e MMR, il doppio del tasso di rilevamento equivalente nel cancro al seno.
Attualmente, i medici testano di routine i geni BRCA1 e BRCA2 che causano il cancro che sono associati a un rischio per tutta la vita rispettivamente dal 20% al 60% e dal 10% al 25%. Tuttavia, sebbene eseguano test per gli altri geni, non è una routine. I geni HR funzionano in combinazione con i geni BRCA e i geni MMR sono associati alla sindrome di Lynch, una condizione trasmessa dai genitori ai bambini che aumenta il rischio di diversi tipi di cancro. Uno dei geni HR, noto come BRIP1, era l’ unico gene responsabile della maggior parte dei tumori dopo BRCA1 e BRCA2.
Il dottor Nicola Flaum, autore principale dello studio dell’Università di Manchester, ha dichiarato: “Questo progetto è lo studio genetico più dettagliato fino ad oggi sul cancro ovarico familiare. E mostriamo che due famiglie di geni con un rischio di cancro ovarico epiteliale a vita compreso tra il 5% e il 20% sono ancora più presenti in queste famiglie di quanto pensassimo”.
“Ecco perché pensiamo che come una questione di routine, le donne che sono BRCA1 e BRCA2 negative con una storia familiare di cancro ovarico, mammario e altri dovrebbero essere testate per queste altre mutazioni genetiche. Test genetici più ampi sulle donne con carcinoma ovarico familiare sono essenziali sia per ottimizzare il loro trattamento che per consentire la prevenzione delle malattie nei membri della famiglia”.
La Dottoressa Ilaria Betella della Ginecologia chirurgica dell’Istituto europeo di oncologia di Milano, ha dichiarato: “Si calcola che fino al 15-20% dei tumori ovarici sia legato alla presenza di mutazioni a carico dei geni BRCA1 e BRCA2. Ma se si considerano anche altre sindromi ereditarie, la quota di tumori ovarici ereditari sul totale potrebbe raggiungere il 25-30%”.
“Gli studi finora condotti hanno evidenziato che rischio di sviluppare il tumore dell’ovaio nel corso della vita e l’età di insorgenza variano a seconda del gene mutato. Nel caso di BRCA1, il rischio si attesta tra il 40 e il 60%, mentre per BRCA2 scende al 20-40%, con un’età di insorgenza un po’ più avanzata rispetto a BRCA1. Anche i geni coinvolti nello sviluppo della sindrome di Lynch possono predisporre a tumore ovarico, per esempio in presenza di mutazioni germinali del gene MSH2 il rischio va dall’8 al 38% nel corso della vita, con un’età media alla diagnosi di 43 anni, mentre in caso di alterazioni del gene MSH6 il rischio è dell’1-13%, con un’età media di insorgenza di 46 anni”.
“Il cancro ovarico è una patologia che in realtà racchiude neoplasie diverse e nel tempo sono stati fatti notevoli progressi sia diagnostici sia terapeutici. «Oggi la medicina di precisione rientra nella diagnosi di questo tumore in modo preponderante – spiega Betella -. Negli ultimi 20 anni sono stati fatti passi avanti enormi che hanno portato alla possibilità di eseguire test genetici e molecolari in praticamente tutte le pazienti”.
“Dal punto di vista clinico, questo si è tradotto nella ricerca capillare di mutazioni di BRCA in tutte le pazienti con hanno sviluppato un carcinoma ovarico negli ultimi 6-7 anni. Nel 2019, la Consensus di Manchester ha portato all’indicazione di eseguire lo screening per la sindrome di Lynch in alcuni sottogruppi particolari di tumore dell’ovaio (in particolare endometrioide e a cellule chiare)”.
” Nel caso di donne con mutazioni BRCA che hanno ormai sviluppato il tumore ovarico (così come per un altro gruppo di pazienti, ovvero coloro che hanno un tumore sporadico ma il cui tumore sviluppa mutazioni somatiche nei geni BRCA) oggi possiamo utilizzare i PARP inibitori, farmaci che hanno notevolmente migliorato la prognosi, allungando la sopravvivenza”.
“Questo ha sicuramente avuto un impatto positivo sulla qualità di vita, ma non bisogna dimenticare che si tratta di donne che devono fare i conti con una diagnosi che cambia la vita per sempre, non solo per il tipo di tumore, ma anche per tipo di chirurgia che richiede”.
“Dopo questo tipo di chirurgia più invasiva alcuni aspetti fisiologici cambiano, per esempio molte pazienti segnalano che il loro intestino funziona diversamente o lamentano altre problematiche, con cui si sopravvive e con cui bisogna imparare a convivere”, ha aggiunto Betella.
“La buona notizia è che i PARP inibitori sono farmaci molto ben tollerati, anche se c’è la necessità che la paziente si sottoponga a esami del sangue periodicamente perché a volte causano anemia, una riduzione dei globuli bianchi o piastrine. Inoltre, dovendo eseguire esami periodici, la paziente è portata a pensare alla sua patologia più di frequente”.
“Nonostante ciò, abbiamo visto che le pazienti sono favorevoli all’assunzione dei PARP inibitori: conoscendone i benefici, riescono a tollerare meglio eventuali effetti collaterali. Talvolta è necessario adattare il dosaggio di questi farmaci sulla singola paziente, in modo da permetterle di gestire nausea, debolezza e gli effetti ematologici, che sono gli effetti collaterali più frequenti e di solito riportati nei primi periodi di assunzione della terapia”.
“Oggi sappiamo che, in una donna sana con mutazione BRCA che si sottopone all’annessiectomia profilattica, è assolutamente possibile fare una terapia ormonale sostitutiva in sicurezza. Gli studi più recenti non mostrano un aumentato rischio di sviluppare un tumore della mammella. Dobbiamo tener presente che la maggior parte dei tumori del seno BRCA correlati non hanno recettori ormonali e quindi non vengono stimolati dalla presenza di ormoni”.
“Tuttavia si possono mettere in atto strategie diverse per migliorare la qualità di vita. Si può per esempio ricorrere a farmaci che hanno effetti positivi sul sonno oppure ad accorgimenti dietetici e sul fronte dell’attività fisica che aiutano a ridurre le vampate piuttosto che terapie vaginali locali per contrastare la secchezza e migliorare l’attività sessuale”.
“Dagli studi che sono stati condotti finora è emerso che le pazienti a cui, prima della chirurgia profilattica, sono stati spiegati molto dettagliatamente gli effetti collaterali dell’intervento chirurgico, si ritengono soddisfatte della scelta che hanno fatto (ridurre rischio di neoplasia con la chirurgia) e hanno ritenuto più tollerabili gli effetti collaterali rispetto alle pazienti meno informate”.
” Sono in corso studi in cui si sta valutando un approccio chirurgico profilattico in due tempi sulle donne sane ad alto rischio. In pratica si tratta di eseguire prima la salpingectomia (rimozione delle tube) e poi, a distanza di alcuni anni, l’ovariectomia profilattica. Sebbene sia ancora da confermare la sicurezza oncologica di questo approccio, recenti studi ne segnalano gli effetti positivi sul fronte della qualità di vita”.
“Sono in corso studi in cui si sta valutando un approccio chirurgico profilattico in due tempi sulle donne sane ad alto rischio. In pratica si tratta di eseguire prima la salpingectomia (rimozione delle tube) e poi, a distanza di alcuni anni, l’ovariectomia profilattica. Sebbene sia ancora da confermare la sicurezza oncologica di questo approccio, recenti studi ne segnalano gli effetti positivi sul fronte della qualità di vita”.
La salpingectomia è un intervento chirurgico mininvasivo, eseguito in laparoscopia in cui vengono rimosse solo le tube, il che vuol dire che la paziente spontaneamente non potrà avere una gravidanza, ma grazie alle tecniche di Procreazione medicalmente assistita (PMA), potrebbe comunque avere un figlio, avendo ancora le ovaie e l’utero”.
“Questo tipo di chirurgia potrebbe essere quindi più facile da accettare per le donne ad alto rischio di sviluppare un tumore ovarico e potrebbe essere eseguita in etá più precoce rispetto all’ovariectomia. Questo approccio in due tempi però non è ancora entrato nella pratica clinica e potrà farlo solo quando avremo un quadro definito del rischio oncologico, solo quando saremo sicuri che proponendolo alle donne non le esporremo a un rischio residuo di tumore più alto rispetto alle compagne che si sottopongono alla salpingo-ovariectomia profilattica tradizionale”, ha concluso Betella.