Una serie di studi preclinici hanno dimostrato che il virus zika può inibire la diffusione del cancro alla prostata, suggerendo il suo potenziale utilizzo nel trattamento della malattia. Tuttavia, un nuovo studio condotto da ricercatori dell’Università statale di Campinas (UNICAMP) nello stato di San Paolo, in Brasile, mostra che lo zika può innescare un processo infiammatorio persistente nelle cellule epiteliali sane e danneggiare il sistema riproduttivo maschile.
I risultati dello studio sono stati riportati sulla rivista scientifica Journal of Proteome Research.
Cancro alla prostata: ecco come aggisce il virus Zica
I ricercatori hanno analizzato gli effetti del virus sulle cellule tumorali e sulle cellule sane.
Dopo l’epidemia di zika del 2015 in Brasile, un gruppo dell’UNICAMP guidato dal professor Rodrigo Ramos Catharino ha iniziato a studiare gli effetti di zika sui biofluidi come saliva, siero e sperma, oltre a indagare se le cellule della prostata potessero fungere da serbatoio virale . Nel 2019, hanno scoperto che i virus zika inattivati potevano essere usati per trattare non solo i tumori nervosi, come il glioblastoma, ma anche il cancro alla prostata .
Sebbene altri studi avessero suggerito che zika si replicasse facilmente nelle cellule epiteliali della prostata sane e nelle cellule di adenocarcinoma prostatico umano, erano necessarie ulteriori ricerche per analizzare i meccanismi dell’infezione persistente da parte del virus e le sue conseguenze per il metabolismo delle cellule.
“Abbiamo deciso di confrontare i due fenotipi, tumorale e normale, poiché entrambi sono presenti nel cancro alla prostata, e avevamo bisogno di sapere quanto potesse essere dannosa l’infezione”, ha detto Jeany Delafiori, prima autrice dell’articolo e attualmente assistente di ricerca presso il Laboratorio europeo di biologia molecolare (EMBL) in Germania.
Lo studio è stato il primo a utilizzare un modello di cellula prostatica in vitro in un test metabolomico, un’analisi di tutti i prodotti del metabolismo dell’infezione da zika. Le normali cellule epiteliali della prostata infette (PNT1a) e le cellule di adenocarcinoma (PC-3) sono state estratte, ionizzate e infuse in uno spettrometro di massa ad alta risoluzione, un dispositivo che identifica i composti attraverso la determinazione del peso molecolare e determina la struttura e le proprietà chimiche delle molecole. Un’analisi statistica dei dati si è basata sull’esposizione per cinque, dieci e 15 giorni dopo l’infezione.
“Abbiamo osservato gli effetti sulle cellule PC-3 per i primi cinque giorni e confrontato i nostri risultati con quelli di studi precedenti che indicavano un’azione antitumorale”, ha detto Delafiori, notando in particolare le alterazioni lipidiche antiproliferative. Più di queste cellule sono morte con il progredire dell’esposizione. “I risultati potrebbero servire come base per il trattamento del cancro alla prostata”, ha detto Catharino.
Nel caso delle cellule PNT1a, l’infezione da zika ha portato a notevoli alterazioni metabolomiche, soprattutto per quanto riguarda glicerolipidi, acidi grassi e acilcarnitine durante il periodo più lungo di infezione.
Secondo gli autori, questi effetti potrebbero essere collegati ad un aumento dei metaboliti dello stress ossidativo associati alla cancerogenesi, come ditirosina, aminotirosina e idrossiguanosina, cosicché lo stesso trattamento a lungo termine potrebbe causare una recidiva del cancro alla prostata e un’infezione prolungata contribuirebbe a la sua malignità sottoponendo le cellule a uno stress ancora maggiore.
Dopo aver dimostrato che il virus zika può agire sulle cellule tumorali della prostata , i ricercatori devono ora condurre ulteriori studi per indagare sui suoi effetti su cellule simili al fine di confermare la scoperta e analizzare i fattori metabolici e correlati alla replicazione.
Sebbene la scoperta che lo zika possa avere effetti cancerogeni sulle cellule epiteliali della prostata sane avrebbe potuto essere considerata una battuta d’arresto, i ricercatori hanno concluso che era positiva. “Tutte queste domande erano rilevanti nella fase iniziale della nostra ricerca, in modo che i futuri pazienti che opteranno per un trattamento di questo tipo in futuro abbiano tutte le informazioni necessarie”, ha detto Catharino.
In italia, seicondo l’AIRC: “il cancro della prostata è il tumore più diffuso nella popolazione maschile e rappresenta il 18,5 per cento di tutti i tumori diagnosticati nell’uomo: le stime relative all’anno 2020 parlano di 36.074 nuovi casi l’anno a livello nazionale. Nonostante l’incidenza elevata, il rischio che la malattia abbia un esito infausto è basso, soprattutto se si interviene in tempo e, rispetto al 2015, nel 2020 è stata stimata una riduzione dei tassi di mortalità del (-15,6 per cento).
Lo dimostrano anche i dati relativi al numero di persone ancora vive dopo cinque anni dalla diagnosi ‒ in media il 92 per cento ‒ una percentuale tra le più alte in caso di tumore, soprattutto se si tiene conto dell’avanzata età media dei pazienti.
L’incidenza, cioè il numero di nuovi casi registrati in un dato periodo di tempo, è cresciuta nell’ultimo decennio in concomitanza con la maggiore diffusione di esami che, seppure non sempre conclusivi, hanno comunque aiutato la diagnosi precoce come il test PSA (antigene prostatico specifico, in inglese prostate specific antigene).
Uno dei principali fattori di rischio per il tumore della prostata è l’età: le possibilità di ammalarsi sono scarse prima dei 40 anni, ma aumentano sensibilmente dopo i 50 anni e circa due tumori su tre sono diagnosticati in persone con più di 65 anni.
Quando si parla di tumore della prostata un altro fattore non trascurabile è senza dubbio la familiarità: il rischio di ammalarsi è pari al doppio per chi ha un parente consanguineo (padre, fratello eccetera) con la malattia rispetto a chi non ha nessun caso in famiglia.
Anche la presenza di mutazioni in alcuni geni come BRCA1 e BRCA2, già coinvolti nell’insorgenza di tumori di seno e ovaio, o della Sindrome di Lynch (tumore del colon non poliposico ereditario; HNPCC) possono aumentare il rischio di cancro alla prostata.
Non meno importanti sono i fattori di rischio legati allo stile di vita: dieta ricca di grassi saturi, obesità, mancanza di esercizio fisico sono solo alcune delle caratteristiche e delle abitudini poco salubri, sempre più diffuse nel mondo occidentale, che possono favorire lo sviluppo e la crescita del tumore della prostata”.
prof. Bernardo Rocco, Professore Ordinario Università di Modena e Reggio Emilia, Direttore UOC Urologia AOU Modena e Membro del Comitato Scientifico di Fondazione Umberto Veronesi, ha dichiarato: “È il tumore più frequente nel sesso maschile dopo i 50 anni; in Europa si contano circa 450.000 nuovi casi all’anno per una stima complessiva di 2.500.000 di pazienti affetti da questa malattia, in diversi stadi e momenti del percorso di cura.
Spesso il tumore della prostata ha bassa aggressività e decorso lento e favorevole. Tuttavia occorre ricordare come vi siano paesi in cui la mortalità per tumore della prostata non è affatto trascurabile, anzi supera quella per tumore del seno o dell’intestino, neoplasie per le quali il livello di attenzione – e di cura – è molto elevato.
Le possibilità di cura sono tante, è dunque opportuno che la malattia venga inquadrata in un contesto multidisciplinare, che include l’urologo, l’oncologo, il radioterapista, ma anche il patologo, l’endocrinologo, lo psicologo, il sessuologo…perché tutti gli aspetti della malattia devono essere presi in considerazione, mantenendo al centro il paziente, la patologia, ma anche le sue personali aspettative e il mantenimento – se non il miglioramento – della sua qualità di vita.
Per questo oggi si dice che il trattamento del tumore della prostata debba essere ‘ritagliato’ sul paziente, e questo compito è affidato a un team di specialisti che coordinano e sequenziano il percorso di cura.
Ribadendo che la prevenzione è fondamentale, per i motivi che abbiamo appena elencato, prima si intercetta il tumore e meglio lo si tratta: migliori risultati e meno effetti collaterali da terapia.
Da chirurgo, vivo quotidianamente questa realtà: quanto più il tumore si estende, tanto più la dissezione chirurgica dovrà essere ampia, per garantirne l’asportazione completa e assicurare così il primo principio della chirurgia oncologica, cioè il tentativo di radicalità. Ma un’ampia dissezione chirurgica va a scapito delle strutture funzionali adiacenti la prostata, preposte alla continenza urinaria e all’erezione: per questo motivo, lo stesso intervento di prostatectomia radicale potrà avere maggiori effetti collaterali – incontinenza e impotenza – se eseguito su un tumore diagnosticato più tardivamente.
Per intercettare precocemente il tumore della prostata, occorre l’informazione: gli uomini devono conoscere che esiste questa malattia, devono parlarne con il proprio urologo, e con lo specialista valutare la strategia per la diagnosi precoce di una eventuale malattia. Questo rappresenta già il primo passo verso una cura efficace e al contempo meno aggressiva.
La pandemia ha provocato in tutti noi un momento di disorientamento, in continua evoluzione fra numeri e indicazioni, nel quale è difficile soppesare cosa è meglio per la nostra salute: continuare a prendersi cura delle malattie note e perseguire la loro prevenzione, o ritardarne la diagnosi e il trattamento perché sopraffatti dal timore del coronavirus?
Allineandomi alle parole del Presidente Mattarella “troppe cure rimandate, il tumore non va in lockdown”, ritengo che non dobbiamo dimenticare le patologie oncologiche, ma valutare, sempre con lo specialista, le modalità più idonee a perseguire un percorso di diagnosi precoce e/o di cura.
L’efficacia della cura del tumore prostatico si è evoluta in maniera esponenziale negli ultimi decenni, abbracciando tutti i momenti della malattia, dalla diagnosi precoce sul paziente sano al trattamento delle forme più avanzate.
Tre sono i momenti fondamentali di questa evoluzione: l’introduzione del PSA come strumento diagnostico, della chirurgia robotica per le forme localizzate, dei nuovi agenti terapeutici per i tumori più avanzati.
Da sempre Fondazione è impegnata nell’educazione alla prevenzione dei tumori tipicamente maschili, ossia tumore alla prostata, vescica e testicolo e a raccogliere fondi per finanziare numerosi ricercatori che quotidianamente lavorano per trovare soluzioni di cura efficaci contro queste patologie.