Il 23 novembre 2023, durante il quarto ciclo osservativo della rete internazionale LIGO-Virgo-KAGRA (LVK), è stato captato un segnale senza precedenti: GW231123, la fusione tra due buchi neri che ha dato origine a un colosso cosmico di circa 225 masse solari, il più grande mai rilevato attraverso onde gravitazionali.

Per comprendere la portata dell’evento, basti pensare che il primo storico rilevamento di onde gravitazionali da parte di LIGO nel 2015 e che inaugurò l’era dell’astronomia gravitazionale, riguardava una fusione da “appena” 62 masse solari.
Questa nuova osservazione spinge oltre i limiti sia della tecnologia che dei modelli teorici finora disponibili. Non solo per la massa, ma anche per la velocità di rotazione dei due buchi neri originari, stimata vicinissima al limite imposto dalla relatività generale di Einstein.
Quando la realtà supera i modelli teorici
Secondo Mark Hannam, fisico teorico della Cardiff University e membro del team LVK, “Buchi neri così massicci non dovrebbero esistere secondo i modelli classici di evoluzione stellare. È probabile che i due oggetti siano frutto di fusioni precedenti; insomma, buchi neri nati da altri buchi neri”.
Questa ipotesi, pur affascinante, porta con sé una nuova serie di domande. Se i modelli attuali non riescono a spiegare questi oggetti, allora è il momento di aggiornarli. Come spesso accade nella scienza, più si osserva l’universo, più esso risponde con enigmi.
Strumentazione al limite
GW231123 rappresenta anche una prova estrema per la sensibilità degli strumenti. Le onde gravitazionali generate da questa fusione sono state rilevate grazie alla collaborazione tra gli interferometri LIGO (USA), Virgo (Italia) e KAGRA (Giappone); tre occhi puntati sull’universo, capaci di cogliere vibrazioni nello spazio-tempo talmente sottili da sfuggire all’immaginazione.

“Questo evento mette davvero alla prova ciò che siamo in grado di fare oggi con la nostra strumentazione e le nostre capacità di analisi dati”, ha dichiarato Sophie Bini, ricercatrice del Caltech.
Nonostante le difficoltà, il segnale è stato ricostruito e interpretato grazie a modelli teorici avanzatissimi, capaci di simulare la complessa dinamica di buchi neri in rapida rotazione.
Il futuro dell’astronomia gravitazionale
L’interesse verso GW231123 non si esaurisce con l’annuncio. I dati saranno presentati ufficialmente durante due importanti conferenze internazionali: la 24ª edizione della Conferenza sulla Relatività Generale e Gravità (GR24) e la 16ª Conferenza Edoardo Amaldi sulle Onde Gravitazionali, che si terranno a Glasgow dal 14 al 18 luglio 2025.

Nel frattempo, tutti i dati raccolti saranno resi pubblici attraverso il portale Gravitational Wave Open Science Center (GWOSC), così che l’intera comunità scientifica possa analizzarli e, magari, trovare nuove chiavi di lettura.
“È un evento che ci spinge a ridefinire le nostre certezze. Le onde gravitazionali non sono solo conferma della relatività: sono strumenti per scoprire ciò che ancora non sappiamo neppure di dover cercare”, ha affermato Dave Reitze, direttore esecutivo di LIGO.
Un passo in più verso l’invisibile
GW231123 ci ricorda quanto poco conosciamo l’universo e quanto possano essere potenti le tecnologie open science nel dare a chiunque la possibilità di contribuire alla scoperta; che sia un nuovo tipo di buco nero, una fusione multipla o qualcosa di ancora più esotico, l’enigma è aperto.
E proprio come accadde nel 2015, è probabile che tra le righe di queste onde ci sia nascosto un nuovo capitolo della fisica.