Secondo lo studio Pegasus, finanziato dalla Fondazione Airc per la ricerca sul cancro, grazie alla biopsia liquida sarà possibile per circa almeno 50 mila pazienti con diagnosi di tumore al colon, evitare la chemioterapia.
La d.ssa Silvia Marsoni, direttore dell’Unità di Oncologia di Precisione dell’IFOM di Milano, promotore dello studio Pegasus, ha dichiarato: ” Un test diagnostico che rivelasse la presenza delle micro-metastasi dopo la chirurgia ci permetterebbe di personalizzare la terapia adiuvante, restringendone l’uso ai soli pazienti che ne avessero davvero bisogno”.
Fondazione AIRC – commenta il Professor Federico Caligaris Cappio, Direttore Scientifico di Fondazione AIRC – crede nella medicina di precisione guidata dalla ricerca scientifica. Pegasus è un eccellente esempio di come la ricerca possa portare a fare il meglio per ogni singolo paziente”.
La biopsia liquida, a differenza della biopsia tissutale, non è invasiva e si effettua attraverso un semplice prelievo di sangue a cui segue l’analisi di materiale di origine tumorale come cellule, proteine, DNA o RNA. È giusto specificare che attraverso questa tecnica, non è possibile effettuare una diagnosi di cancro, che invece si ricava dall’analisi del tessuto tumorale. La biopsia liquida invece può essere utilizzata per individuare marcatori prognostici o predittivi.
Con la biopsia liquida è possibile individuare i pazienti a rischio di recidiva
Alberto Bardelli, direttore dell’Oncologia Molecolare all’Istituto di Candiolo Irccs (Torino) e docente all’Università, ha dichiarato: “Con la biopsia liquida si cercano nel sangue frammenti di Dna che vengono confrontati con il Dna del paziente: così si possono individuare quei frammenti “estranei”, cioè riferibili al tumore. Il sangue cattura informazioni dai vari tessuti ed è più preciso e universale della classica biopsia che, invece, analizza singoli tessuti e non può essere praticata in tutti gli organi, eventuali bersaglio delle micrometastasi“.
La ricerca, portata avanti da Silvia Marsoni dell’Ifom di Milano, con coordinatore scientifico Sara Lonardi dell’Istituto Oncologico Veneto, Irccs di Padova e coinvolge otto centri di cui 5 in Italia (compreso l’ospedale Niguarda e l’Istituto Tumori di Milano) e tre in Spagna, ha dovuto fermarsi a causa dell’emergenza covid, per poi riprendere: “Lo studio risponde al concetto di medicina personalizzata. Ci permetterà di capire quali sono i pazienti più a rischio di recidiva, perché hanno più micrometastasi e quindi più Dna anomalo nel sangue. Sono pazienti che andranno curati con una chemioterapia più aggressiva rispetto a quelli che, invece, possono accedere a un trattamento “light”, meno pesante, o addirittura evitare la chemio”, ha spiegato Lonardi.
I soggetti che parteciperanno alla ricerca saranno 140, distribuiti in 8 istituti clinici europei: “Allo studio PEGASUS – risponde il Prof. Andrea Sartore-Bianchi, oncologo medico responsabile dello studio PEGASUS presso il Cancer Center dell’Ospedale Niguarda di Milano – parteciperanno persone che hanno subito un intervento chirurgico per un tumore del colon con caratteristiche di rischio che rendono necessaria una chemioterapia post-chirurgica”.
Dr. Filippo Pietrantonio, oncologo medico responsabile dello studio PEGASUS presso lo stesso Istituto e ricercatore presso l’Università degli Studi di Milano, precisa che: “Nei pazienti reclutati viene effettuato un monitoraggio della presenza del DNA tumorale nel sangue per tutta la durata del percorso clinico-terapeutico, proprio per consentire di personalizzare la scelta terapeutica anche nel corso della strategia di cura”.
“Il nostro interesse preciso è quello di migliorare la diagnostica e la terapia di tutti i tumori cosiddetti ‘big killers’, e fra questi il carcinoma del colon. Abbiamo svolto nel corso degli anni precedenti alcune ricerche che hanno migliorato la terapia del carcinoma metastatico prolungando la sopravvivenza e raggiungendo la guarigione in una frazione di pazienti. Oggi stiamo estendendo le nostre ricerche alla malattia cosiddetta localmente avanzata“, conclude Salvatore Siena, Direttore del Dipartimento di Ematologia ed Oncologia dell’Ospedale Niguarda di Milano.
La scienza può aiutarci, dopo l’intervento per asportazione del tumore al colon e la chemio susseguente, ad evitare le colonscopie.