In futuro, i biomarcatori epigenetici appena identificati potrebbero essere utilizzati insieme alle tecniche di imaging per la diagnosi non invasiva di pazienti con carcinoma prostatico avanzato.
Un gruppo di ricerca dell’Università di Medicina di Vienna e del Ludwig Boltzmann Institute Applied Diagnostics ha sviluppato biomarcatori epigenetici per il rilevamento del DNA tumorale circolante nei campioni di plasma dei pazienti. In questo modo, i pazienti che non rispondono al trattamento o subiscono una ricaduta possono essere identificati precocemente grazie a metodiche di esame non invasivo e di conseguenza ricevere il trattamento ottimale.
I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Molecular Cancer.
Cancro alla prostata: perché i biomarcatori epigenetici sono importanti
Il cancro alla prostata è uno dei tumori maschili più comuni al mondo ed è caratterizzato da un alto grado di eterogeneità. Sebbene le terapie ormonali producano inizialmente una buona risposta terapeutica e siano disponibili nuove modalità di trattamento, i tumori hanno una prognosi sfavorevole (tumori resistenti alla castrazione) si sviluppano spesso.
In uno studio congiunto condotto da un gruppo di ricerca guidato da Thomas Dillinger, Ph.D. studente nel gruppo di ricerca di Gerda Egger, Dipartimento di Patologia dell’Università di Medicina di Vienna e Diagnostica applicata dell’Istituto Ludwig Boltzmann, sono stati identificati biomarcatori epigenetici per la rilevazione non invasiva del DNA tumorale circolante in campioni di plasma di pazienti con carcinoma prostatico metastatico. I marcatori sono stati utilizzati per determinare la risposta dei pazienti al trattamento e per fare una previsione prognostica.
Le cosiddette “biopsie liquide” consentono la diagnosi minimamente invasiva dei tumori isolando e caratterizzando il DNA tumorale dai fluidi corporei come sangue, urina o saliva. Oltre ai cambiamenti genetici, i cambiamenti epigenetici come la metilazione del DNA (modifica chimica dei mattoni di base del materiale genetico) rappresentano un importante meccanismo di sviluppo del tumore. Questi cambiamenti sono specifici del tumore e possono essere rilevati nel tessuto canceroso così come nel DNA tumorale che circola liberamente nel sangue.
In collaborazione con ricercatori dell’Università di Medicina di Vienna e dell’Istituto Austriaco di Tecnologia (AIT), il presente studio ha studiato la presenza di DNA tumorale circolante nel plasma di pazienti con cancro alla prostata o condizioni benigne, basate su specifici modelli di metilazione del DNA nel tessuto canceroso.
È stato riscontrato che il DNA tumorale può essere rilevato con un alto grado di specificità e sensibilità sulla base della metilazione del DNA di geni specifici. È interessante notare che nessun DNA tumorale era rilevabile nei tumori locali meno aggressivi.
In un’ulteriore analisi, la metilazione del DNA di tre geni (AKR1B1, KLF8 e LDAH) è stata utilizzata per monitorare la risposta terapeutica dei pazienti alla chemioterapia e alla terapia antiandrogena. L’aumento della metilazione del DNA dei geni marcatori è stato anche associato a una prognosi più sfavorevole e a una sopravvivenza più breve del paziente.
In futuro, i biomarcatori epigenetici identificati potrebbero essere utilizzati insieme a tecniche di imaging per la diagnosi non invasiva di pazienti con carcinoma prostatico avanzato. Ciò consentirebbe l’identificazione precoce dei pazienti che non rispondono al trattamento o che ricadono, in modo da poter ricevere il trattamento ottimale.
Il cancro alla prostata è la seconda diagnosi di cancro più frequente negli uomini e la quinta principale causa di morte nel mondo, e può essere asintomatico nella fase iniziale e spesso ha un decorso indolente che può richiedere solo una sorveglianza attiva.
Le differenze nei tassi di incidenza in tutto il mondo riflettono le differenze nell’uso dei test diagnostici. I tassi di incidenza e mortalità del cancro alla prostata sono fortemente correlati all’età con la più alta incidenza osservata negli uomini anziani (> 65 anni di età). Gli uomini afroamericani hanno i tassi di incidenza più alti e il tipo più aggressivo di cancro alla prostata rispetto agli uomini bianchi.
Non ci sono ancora prove su come prevenire il cancro alla prostata, tuttavia, è possibile ridurre il rischio limitando i cibi ricchi di grassi, aumentando l’assunzione di frutta e verdura e facendo più esercizio. Lo screening è altamente raccomandato all’età di 45 anni per uomini con storia familiare e uomini afroamericani.
Il disturbo più frequente è la difficoltà di minzione, l’aumento della frequenza e la nicturia, tutti sintomi che possono derivare anche dall’ipertrofia prostatica. Lo stadio più avanzato della malattia può presentarsi con ritenzione urinaria e mal di schiena, poiché lo scheletro dell’asse è il sito più comune di metastasi ossee.
Statistiche aggiornate sull’insorgenza e sugli esiti del cancro alla prostata insieme a una migliore comprensione dell’eziologia e dei fattori di rischio causali sono essenziali per la prevenzione primaria di questa malattia.