Secondo una nuova ricerca pubblicata sulla rivista People and Nature della British Ecological Society, le persone sono molto più brave di quanto si pensasse nel riconoscere la biodiversità e anche senza alcuna formazione scientifica: e lo fanno usando vista e udito, in modo istintivo ma sorprendentemente preciso.

Lo studio è stato condotto da un team tedesco composto da ricercatori dell’iDiv (Centro per la Ricerca Integrata sulla Biodiversità), dell’UFZ (Centro Helmholtz per la Ricerca Ambientale) e dell’Università Friedrich Schiller di Jena. I partecipanti — gente comune, senza esperienza ecologica — hanno dovuto ordinare immagini e registrazioni audio di foreste europee in base a quanto sembravano “ricche di vita”.
Biodiversità: la riconosciamo in modo innato!
I risultati hanno mostrato che i livelli di biodiversità percepiti erano coerenti con i dati scientifici reali, misurati con indicatori standard come la varietà di alberi, la complessità del sottobosco e il numero di specie di uccelli.
Ma non finisce qui: altri studi avevano già suggerito che non è tanto la biodiversità misurata a influire sul nostro benessere mentale, quanto quella percepita. In altre parole, ciò che conta è quanto “viva” ci appare la natura attorno a noi.

“Poiché si sospetta che la biodiversità percepita si traduca in benefici per la salute mentale”, spiega Kevin Rozario, autore principale dello studio, “è importante capire cosa vedono e sentono le persone quando giudicano la biodiversità.”
Cosa ci colpisce davvero?
A livello visivo, la gente tende a notare:
- densità della vegetazione
- giochi di luce
- colori del fogliame
Sul piano sonoro, invece:
- varietà del canto degli uccelli
- volume
- emozioni suscitate dai suoni naturali
Insomma, non si tratta solo di “quante” specie ci sono, ma di come ci fanno sentire.
Biodiversità come esperienza sensoriale
Rozario sottolinea un punto interessante (e un po’ inquietante): “Oggi non stiamo solo perdendo specie animali e vegetali, ma anche la possibilità di fare esperienze biodiverse.”

E qui arriva l’appello: se vogliamo proteggere la natura e migliorare il benessere delle persone, dobbiamo conservare e ripristinare foreste eterogenee, ricche di suoni e colori, non solo di numeri e dati.
La percezione ha bisogno di confronto
C’è però una condizione importante: le persone riescono a valutare bene la biodiversità solo se possono fare confronti diretti. Guardare una singola foresta isolata, senza contesto, rende tutto più difficile. Un po’ come ascoltare un brano musicale senza sapere cosa aspettarsi: mancano i riferimenti.

Un’altra nota metodologica: la maggior parte dei partecipanti allo studio erano donne con istruzione universitaria e gli autori suggeriscono quindi di ampliare i campioni in future ricerche per confermare i risultati su scala più ampia.
Conclusione
Questo studio ci ricorda che la tecnologia deve restare connessa all’esperienza umana se vogliamo progettare app per la salute mentale, giochi ambientali, realtà aumentata o semplicemente nuove forme di turismo sostenibile, non possiamo ignorare il ruolo chiave della percezione umana nella natura.
La biodiversità non è solo una questione da biologi o attivisti: è anche una questione di design, esperienza utente e benessere; e, a quanto pare, il nostro cervello è già cablato per riconoscerla.