Il più grande avversario di Bill Gates non fu Apple, non fu il Kernel Linux, no, fu un videogioco prodotto in Texas in un appartamento da una casa piccolissima: DOOM!
Nel 1993, Doom non era solo un gioco: era una rivoluzione; Id Software, con un team ristretto ma geniale composto da John Carmack, John Romero e altri pionieri del videogioco, lanciò un prodotto che ridefinì il concetto stesso di gaming su PC.

Doom fu il primo titolo “killer application” del DOS per uso ludico, capace di mettere in crisi non solo le aziende concorrenti, ma addirittura la strategia stessa di Microsoft per il futuro dell’informatica: Windows 95.
Questa è la storia di come Doom, un gioco sviluppato in un appartamento texano, riuscì a far tremare Bill Gates e a costringerlo a riconfigurare l’intera strategia gaming della sua azienda.
Il contesto: DOS contro Windows
Nei primi anni ‘90, Microsoft stava lavorando a Chicago, il nome in codice del progetto che sarebbe poi diventato Windows 95; l’obiettivo era chiaro: rendere i sistemi operativi grafici la norma, superando il DOS, ancora dominante nei giochi per PC.

Il problema? Doom funzionava solo su DOS. Non solo: lo sfruttava come nessun altro software aveva fatto prima.
DOS permetteva a Carmack un accesso diretto all’hardware (memoria, scheda video, suono, tastiera, mouse) senza le restrizioni imposte dalle API Windows o dalle sue librerie grafiche e questo consentiva a Doom prestazioni ineguagliabili: grafica in tempo reale, audio digitalizzato, multiplayer via LAN e, soprattutto, una fluidità impressionante anche su hardware modesto.
La reazione di Microsoft: panico nella torre di Redmond
Quando Doom esplose nel 1993, diventando una vera e propria ossessione tra i gamer e nei corridoi delle università americane (e non solo), Microsoft si trovò davanti a una crisi inaspettata: nessuno voleva usare Windows per giocare. Le aziende erano lente a migrare, i gamer lo evitavano, e Doom era ovunque.
Bill Gates ne fu colpito. Letteralmente.
Secondo varie fonti interne (e testimonianze come quella di Gabe Newell, futuro fondatore di Valve), Gates vide Doom girare per la prima volta durante una dimostrazione interna e ne rimase impressionato, al punto che Microsoft cominciò a chiedersi: Come possiamo far diventare Windows la piattaforma principale per il gaming, se il gioco più rivoluzionario dell’epoca lo ignora completamente?
Il Paradosso Interno: alla stessa Microsoft Doom era più Installato di Windows 95
A rendere la questione ancora più spinosa per Microsoft fu un dato clamoroso che emerse in quegli anni: Doom risultava installato su più PC di Windows 95 stesso alla stessa Microsoft.
Questo paradosso non era frutto di marketing o boutade da conferenza, ma di una realtà concreta: mentre Windows 95 faticava a imporsi nei primi mesi dopo il lancio, Doom era già preinstallato, copiato o distribuito in ambienti universitari, uffici tecnici e persino aziende.

Come riportato in più testimonianze dell’epoca, tra cui interviste a ex impiegati Microsoft e sviluppatori indipendenti, i tecnici della stessa Redmond scherzavano sul fatto che per convincere qualcuno a installare Windows 95, bisognava prima assicurargli che Doom avrebbe funzionato.
Era un’umiliazione implicita: l’OS più evoluto mai realizzato da Microsoft stava venendo oscurato da un gioco che girava sul vecchio e “rozzo” DOS, ma non si trattava solo di gioco: si trattava di accesso diretto all’hardware, di performance, di libertà creativa.
Doom incarnava l’hardware-level control che Windows cercava di superare, ma che nessun videogiocatore PC dell’epoca era disposto ad abbandonare.
L’aneddoto del video promozionale: Bill Gates dentro Doom
In un tentativo quasi disperato di conquistare l’attenzione dei gamer e sviluppatori, Microsoft produsse un leggendario (e oggi quasi mitico) video promozionale interno: Bill Gates, in giacca e cravatta, inserito digitalmente dentro Doom, armato di fucile, che spara ai demoni spiegando perché Windows è il futuro del gaming.
Il messaggio era chiaro: Doom può girare anche su Windows. Siamo pronti per il gaming.
Ma la realtà tecnica era diversa: Windows 3.1 e perfino le prime build di Windows 95 erano troppo lente, troppo astratte rispetto all’hardware e DirectX non esisteva ancora.
La svolta: l’arrivo di Windows 95 e la nascita di DirectX
Spinto dalla “minaccia Doom”, Microsoft decise di fare sul serio: fu istituito un team interno per creare un set di librerie che permettessero agli sviluppatori di accedere direttamente all’hardware anche da Windows, senza sacrificare performance.
Nacque così DirectX, una delle API più influenti della storia dei videogiochi, rilasciata nel 1995 e grazie a DirectX, i giochi per Windows potevano cominciare a competere con quelli DOS.

Nel frattempo, Microsoft cercò di collaborare con id Software per portare Doom su Windows e un porting ufficiale arrivò solo più tardi, con Doom 95, ma non era perfetto: il gioco girava sì sotto Windows 95, ma la versione era meno ottimizzata rispetto a quella DOS.
Un’eredità a doppio taglio
In un certo senso, Doom costrinse Microsoft ad accelerare e senza la pressione creata da quel “gioco da garage”, probabilmente la casa di Redmond non avrebbe dato priorità allo sviluppo di un’infrastruttura gaming per Windows.

Da quel momento, nacque una visione chiara: il PC come piattaforma da gioco universale e per ironia della sorte, chi contribuì alla sua creazione fu proprio l’uomo che la minacciava: John Carmack, noto anche per essere inventore dell’Oculus Rift.
Conclusione: un colpo al cuore della corporazione
Doom non era pensato per cambiare il mondo. Era pensato per essere divertente, ma la potenza dell’ingegneria di Carmack e il carisma di Romero dimostrarono quanto un piccolo team indipendente potesse mettere in crisi colossi come Microsoft.
Se Doom fosse un sistema operativo, sarebbe più versatile di Windows, Linux e macOS messi insieme
Oggi Doom gira su qualsiasi cosa: frigoriferi, test di gravidanza digitali e calcolatrici, ma se oggi Windows è considerato una piattaforma seria per il gaming, è anche grazie al fatto che, trent’anni fa, Microsoft fu costretta a rincorrere un gioco che sembrava venire dall’inferno… E forse, un po’, lo era davvero.