Bere alcol non fa male, basta moderarsi, giusto? No. Affatto. Sembra proprio che, come per il fumo passivo dove non esiste una soglia sicura (nemmeno all’aperto), non esista nemmeno una “quantità sicura” di assunzione di alcol.

Bere alcol (anche poco) non è, quindi, così sicuro come pensi
Una delle convinzioni più diffuse negli ultimi anni, ossia quella secondo cui bere alcol in quantità moderate farebbe bene al cervello, potrebbe dover essere rivista alla luce di un nuovo studio. Secondo la più ampia analisi combinata di dati osservazionali e genetici mai condotta finora, non esiste una “dose sicura” di alcol per la salute mentale e lo afferma uno studio pubblicato sulla rivista BMJ Evidence-Based Medicine, che ha coinvolto oltre mezzo milione di persone.
Niente dose “ottimale”: il rischio cresce con ogni bicchiere
Per anni, numerosi studi osservazionali avevano fatto pensare che un consumo leggero di alcol,come un bicchiere di vino a cena, potesse addirittura proteggere dal declino cognitivo; ma questi studi avevano alcuni limiti: spesso non distinguevano tra chi non ha mai bevuto e chi aveva smesso per motivi di salute, e tendevano a concentrarsi su fasce di popolazione anziana.

Per superare questi limiti, un team internazionale ha unito le forze: da un lato ha analizzato i dati osservazionali di due grandi biobanche (il Million Veteran Program negli USA e la UK Biobank nel Regno Unito), e dall’altro ha utilizzato una tecnica genetica chiamata randomizzazione mendeliana, che consente di stimare effetti causali riducendo al minimo le interferenze di fattori esterni.
I numeri dello studio
I numeri di questo studio sul bere alcol sono i seguenti:
- Partecipanti totali: oltre 559.000
- Età: 56–72 anni al momento del reclutamento
- Monitoraggio: fino a 12 anni
- Casi di demenza registrati: 14.540
- Decessi: oltre 48.000
I ricercatori hanno confrontato i dati genetici associati a tre variabili:
- Quantità settimanale di alcol consumato
- Abitudini di consumo problematiche (es. binge drinking)
- Predisposizione genetica alla dipendenza da alcol
Il risultato? Nessun beneficio, rischio in aumento
La sintesi dei risultati è semplice quanto diretta: più si beve, più aumenta il rischio di demenza. Anche piccole quantità.
Per esempio, bere solo 1-3 drink in più alla settimana era già associato a un aumento del 15% del rischio; nei casi di doppia predisposizione genetica alla dipendenza, il rischio aumentava del 16%.

Inoltre, contrariamente ai dati osservazionali, non è emersa alcuna curva “a U” (cioè una soglia minima benefica). Nessuna evidenza, insomma, che bere poco faccia bene alla mente. Anzi, il rischio cresce in modo lineare con il consumo.
E se i dati precedenti avessero confuso causa ed effetto?
Un altro dato interessante è che le persone che hanno sviluppato la demenza tendevano a bere meno negli anni precedenti alla diagnosi e questo potrebbe spiegare perché alcuni studi avevano interpretato il bere leggero come “protettivo”: in realtà, si tratterebbe di causalità inversa. In altre parole, è la demenza incipiente che porta a smettere di bere, e non il contrario.
Cosa si può imparare da questo studio?
Pur riconoscendo alcuni limiti (per esempio, la maggior parte dei dati genetici riguarda persone di origine europea), gli autori dello studio affermano chiaramente: “I nostri risultati smentiscono l’idea che bere poco alcol sia neuroprotettivo. Tutti i livelli di consumo analizzati hanno mostrato effetti negativi sul rischio di demenza.”

E aggiungono: “Ridurre o evitare il consumo di alcol potrebbe essere una strategia efficace nella prevenzione della demenza, soprattutto nelle popolazioni che invecchiano.”
Conclusione
Nel contesto attuale, dove salute mentale e prevenzione sono al centro dell’attenzione pubblica e scientifica, questo studio fornisce una nuova base solida per le raccomandazioni sanitarie. Soprattutto in un’epoca in cui il concetto di “benessere digitale” si intreccia sempre più con quello di salute fisica e mentale, rivedere le proprie abitudini alcoliche può rivelarsi un passo fondamentale per proteggere il cervello a lungo termine.