Nel panorama dell’innovazione scientifica, due recenti studi pubblicati sulla prestigiosa rivista Nature hanno aperto nuovi orizzonti per le interfacce cervello-computer (BCI), aprendo la strada a una potenziale rivoluzione nel ripristino della comunicazione per coloro che, a causa di gravi paralisi, non possono più esprimersi verbalmente.
Questi studi rappresentano una significativa evoluzione nell’applicazione delle BCI, offrendo nuove speranze e possibilità alle persone che affrontano sfide linguistiche.
Sebbene l’idea di utilizzare le interfacce cervello-computer per ripristinare la comunicazione in soggetti con disabilità non sia nuova, ciò che rende questi studi così rivoluzionari è l’enorme passo in avanti che rappresentano in termini di velocità ed efficienza. In entrambi gli studi, i ricercatori hanno utilizzato impianti cerebrali in grado di rilevare segnali neurali, che sono stati quindi tradotti in frasi comprensibili attraverso sofisticati algoritmi, e ciò che distingue questi studi è la loro capacità di ottenere risultati più rapidi e precisi rispetto alle tecnologie esistenti.
Uno dei due studi, condotto presso l’Università di Stanford, ha coinvolto un paziente affetto da sclerosi laterale amiotrofica (SLA), una malattia che causa la degenerazione progressiva dei neuroni motori. Gli scienziati hanno impiantato elettrodi nelle aree cerebrali associate al linguaggio del paziente, consentendo loro di catturare i segnali cerebrali mentre il paziente cercava di comunicare.
Questi segnali sono stati quindi elaborati da un algoritmo in grado di associare modelli specifici di attività cerebrale ai fonemi, i suoni fondamentali del linguaggio. Durante il processo di addestramento, i ricercatori hanno chiesto al paziente di provare a vocalizzare o a pronunciare silenziosamente frasi campione in 25 sessioni della durata di circa quattro ore ciascuna.
Il secondo studio è stato condotto congiuntamente dall’Università di San Francisco e dall’Università di Berkeley e ha coinvolto un paziente affetto da paralisi a seguito di un ictus al tronco encefalico. Attraverso un processo chirurgico, è stato posizionato un sottile foglio contenente 253 elettrodi sul cervello del paziente, ed anche in questo caso, proprio come nello studio di Stanford, è stato chiesto al paziente di addestrare l’algoritmo tentando di parlare in modo che potesse riconoscere quali segnali cerebrali erano associati a diversi fonemi, che sono stati poi tradotti in espressioni facciali e discorsi attraverso un avatar digitale.
Ciò che rende questi studi così promettenti è la loro straordinaria coerenza nei risultati ottenuti. Entrambi gli approcci hanno dimostrato un notevole miglioramento in termini di precisione e velocità rispetto alle attuali tecnologie.
Lo studio di Stanford aveva un tasso di errore del 9,1% se limitato a un vocabolario di 50 parole e del 23,8% se esteso a un vocabolario di 125.000 parole. Dopo circa quattro mesi, l’algoritmo di Stanford è riuscito a convertire i segnali cerebrali in parole a una velocità di circa 68 parole al minuto. L’algoritmo dell’UC San Francisco e Berkeley è stato in grado di decodificare a una velocità media di 78 parole al minuto ed aveva un tasso di errore dell’8,2% per un vocabolario di 119 parole e un tasso di errore di circa il 25% per un vocabolario di 1.024 parole.
Sebbene un tasso di errore compreso tra il 23 e il 25% non sia sufficiente per l’uso quotidiano, rappresenta un miglioramento significativo rispetto alla tecnologia esistente. In una conferenza stampa, Edward Chang, presidente di chirurgia neurologica presso l’UCSF e coautore dello studio dell’UCSF, ha osservato che la velocità effettiva di comunicazione per la tecnologia esistente è “laboriosa” da 5 a 15 parole al minuto rispetto alle 150-250 parole al minuto per i naturali. discorso.
“Da sessanta a 70 parole al minuto sono una vera pietra miliare per il nostro campo in generale perché provengono da due centri diversi e due approcci diversi”
ha detto Chang durante il briefing.
Quanto siamo lontani dall’avere delle BCI pronte per l’utilizzo quotidiano?
Detto questo, questi studi sono più una prova di concetto che la dimostrazione di una BCI pronta per il debutto. Un potenziale problema è che questi trattamenti richiedono lunghe sessioni per addestrare l’algoritmo, malgrado ciò ricercatori di entrambi i team hanno dichiarato alla stampa in un briefing che sperano che l’addestramento degli algoritmi sarà meno intenso in futuro.
“Si tratta di studi molto precoci e non disponiamo di un grande database di dati provenienti da altre persone. Man mano che facciamo più registrazioni e otteniamo più dati, dovremmo essere in grado di trasferire ciò che gli algoritmi apprendono da altre persone a nuove persone”
afferma Frank Willett, ricercatore presso l’Howard Hughes Medical Institute e coautore dello Stanford studio, inoltre il ricercatore ha notato che ciò non era garantito e che erano necessarie ulteriori ricerche.
Questi risultati non solo rappresentano un notevole passo avanti nella tecnologia delle BCI, ma anche una potenziale rivoluzione nell’assistenza medica per le persone con gravi limitazioni linguistiche, tuttavia è importante notare che, nonostante l’entusiasmo suscitato da questi studi, ci sono ancora diverse sfide da affrontare prima che la BCI possa essere utilizzata su vasta scala.
Attualmente, come già detto, l’addestramento richiesto per far funzionare gli algoritmi del BCI è intensivo e richiede lunghe sessioni, inoltre la complessità e la durata degli impianti cerebrali sollevano questioni di fattibilità e accettabilità per i pazienti.
Un altro problema è che la tecnologia deve essere abbastanza semplice da poter essere utilizzata a casa, senza richiedere agli operatori sanitari di seguire una formazione complicata. Anche gli impianti cerebrali sono invasivi e, in questi studi particolari, la BCI doveva essere collegata tramite fili a un dispositivo all’esterno del cranio che veniva poi collegato a un computer.
Ci sono anche preoccupazioni riguardo al degrado degli elettrodi e al fatto che queste potrebbero non essere soluzioni permanenti. Per arrivare all’uso da parte dei consumatori, la tecnologia dietro le attuali BCI dovrà essere rigorosamente controllata, il che può essere un processo lungo e costoso, ma i ricercatori sono ottimisti che queste sfide possano essere superate con ulteriori sviluppi e ricerche.
Un aspetto da considerare è anche la situazione dei pazienti che sono in uno stato di paralisi totale o quasi totale, infatti gli studi sono stati condotti su pazienti che avevano ancora una certa capacità di movimento, mentre alcune condizioni neurologiche, come la SLA in stadio avanzato, possono provocare quella che viene chiamata la sindrome bloccata, in questo stato, una persona ha ancora la capacità di pensare, vedere e ascoltare, ma può comunicare solo sbattendo le palpebre o altri piccoli movimenti. Sarà interessante esplorare se questa tecnologia può essere adattata ed efficace anche per coloro che non possono comunicare attraverso movimenti fisici.
Le persone con la sindrome bloccata hanno maggiormente bisogno di questa BCI, ma sono necessarie ulteriori ricerche per vedere se questo metodo sarebbe efficace.
“Abbiamo superato una soglia di prestazioni di cui siamo entrambi davvero entusiasti perché supera la soglia dell’usabilità. Ci stiamo pensando seriamente e quali saranno i prossimi passi.”
afferma Chang, sottolineando che il potenziale vantaggio della BCI è enorme se può essere implementata in modo sicuro e ampiamente.
In conclusione, questi studi rappresentano una pietra miliare nella ricerca delle BCI e nel potenziale utilizzo di questa tecnologia per riportare la comunicazione a coloro che ne sono privati a causa di gravi paralisi. Mentre ci sono ancora ostacoli da superare prima che questa BCI possa diventare una realtà pratica e accessibile, i risultati finora ottenuti sono promettenti e aprono nuove strade per migliorare la vita delle persone con disabilità.
La speranza è che, attraverso ulteriori ricerche e sviluppi, queste innovazioni possano trasformare radicalmente la vita di coloro che hanno perso la capacità di parlare, aprendo nuove possibilità di comunicazione e inclusione.
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