Costruire strutture direttamente sul suolo di Marte è una delle sfide centrali delle future missioni umane. Trasportare dalla Terra moduli pesanti è difficile, costoso e limita qualsiasi espansione. Per questo molti ricercatori stanno valutando come usare la regolite marziana come base per creare materiali edilizi. Un nuovo studio del Politecnico di Milano, pubblicato su Frontiers in Microbiology, propone una strategia biologica basata su una coppia di batteri che lavorano insieme per produrre un materiale solido simile al cemento.
La coppia di batteri che potrebbe costruire su Marte

I protagonisti della ricerca sono Sporosarcina pasteurii e Chroococcidiopsis, due batteri con caratteristiche molto diverse. Il primo è noto per la sua capacità di produrre carbonato di calcio, un minerale alla base dei biocementi. Il secondo è un cianobatterio estremofilo capace di sopravvivere a radiazioni, disidratazione e condizioni vicine a quelle presenti sul pianeta rosso.
La forza dell’approccio sta nella complementarità. Chroococcidiopsis crea un ambiente più favorevole liberando ossigeno e formando una matrice gelatinosa che protegge i microrganismi. Questa protezione permette a Sporosarcina pasteurii di crescere e avviare il processo che porta alla formazione dei minerali utili per consolidare la polvere marziana.
Come si forma il biocemento partendo dalla regolite
Il processo è basato su un meccanismo noto come biomineralizzazione. Il cianobatterio fornisce ossigeno e riparo, mentre Sporosarcina pasteurii secerne polimeri naturali che stimolano la crescita di cristalli minerali. Quando questi cristalli si uniscono alla polvere marziana, si compattano fino a generare un materiale rigido, paragonabile per stabilità a un tipo di cemento biologico.
L’idea di fondo è semplice: trasformare un terreno polveroso e inerte in un blocco solido usando solo microrganismi resistenti e materiali già presenti sul pianeta.
Perché questa strategia è utile per le future colonie marziane
Ogni chilogrammo spedito dalla Terra ha un costo elevatissimo. Un sistema in grado di produrre materiali da costruzione direttamente sul posto risolve parte del problema logistico delle missioni con equipaggio. I risultati dello studio mostrano che, almeno in laboratorio, la coppia batterica può generare strutture solide sfruttando esclusivamente le risorse locali.
Questo metodo potrebbe rendere più semplice la costruzione di basi abitative, laboratori, piattaforme per strumenti scientifici e perfino elementi di supporto per infrastrutture più grandi. Inoltre Sporosarcina pasteurii produce piccole quantità di ammoniaca, una molecola che potrebbe rivelarsi utile per fertilizzare coltivazioni in serre pressurizzate.
Come potrebbe funzionare una biofabbrica su Marte

Secondo gli autori dello studio, basterebbe portare colture controllate dei due batteri su Marte e inserirle in habitat protetti. Qui le colonie potrebbero crescere, riprodursi e produrre biocemento in lotti successivi. Il processo potrebbe essere alimentato da energia solare e rifornito con acqua recuperata localmente.
Con il tempo, queste biofabbriche potrebbero essere ampliate per produrre quantità crescenti di materiale da costruzione. Sarebbe un sistema modulare, capace di lavorare in parallelo con altre tecnologie di produzione. L’approccio biologico consentirebbe di ridurre drasticamente la dipendenza dalle forniture terrestri.
I limiti dello studio e le sfide da superare

La ricerca offre un modello convincente, ma ci sono ostacoli da risolvere. I test sono stati condotti su simulanti del suolo marziano, non sulla regolite reale. Inoltre le condizioni di gravità ridotta, pressione atmosferica minima, presenza di perclorati e ampie oscillazioni termiche potrebbero modificare il comportamento dei due batteri.
Non è chiaro nemmeno quanto tempo servirebbe per produrre grandi quantità di biocemento o quanto sarebbe resistente il materiale ottenuto in condizioni reali. La biomineralizzazione è un processo efficace, ma su Marte richiederebbe habitat controllati e un grande livello di automazione.
A queste criticità si aggiunge il tema energetico: mantenere in vita e attivi i batteri richiede luce, acqua e nutrienti, elementi non sempre disponibili nelle zone più interessanti del pianeta rosso.
Perché questa idea merita attenzione
Nonostante i limiti, la strategia proposta dal Politecnico di Milano apre una prospettiva nuova per l’esplorazione umana. I due batteri funzionano come una biofabbrica autonoma, capace di generare materiali edilizi usando risorse locali. È un approccio che riduce i costi, aumenta l’autonomia delle missioni e spinge verso tecnologie di costruzione più sostenibili e adattabili.
Questa linea di ricerca potrebbe diventare il cuore dei progetti di insediamento umano su Marte, integrandosi con altre tecniche come la stampa 3D o l’uso dei ghiacci sotterranei. Le missioni del futuro potrebbero nascere da una combinazione di ingegneria, microbiologia e risorse ambientali.
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