Una nuova ricerca sviluppata da un team di ricercatori dell’UCL ha dimostrato che L’autoriflessione è positivamente associata alla cognizione in tarda età così come al metabolismo del glucosio, un indicatore della salute del cervello. Gli scienziati impegnati nel nuovo studio hanno dichiarato che le persone anziane che si dedicano all’autoriflessione possono avere un rischio diminuito di demenza.
I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Neurology.
Autoriflessione connessa ad un miglioramento della cognizione in tarda età
L’autrice principale, la ricercatrice Harriet Demnitz-King (UCL Psychiatry), ha dichiarato che: “C’è un numero crescente di prove che rilevano che fattori psicologici positivi, come lo scopo nella vita e la coscienziosità, possono ridurre il rischio di demenza. Trovare ulteriori modi per ridurre il rischio di demenza è una priorità urgente, quindi speriamo che, poiché le capacità di autoriflessione possono essere migliorate, potrebbe essere uno strumento utile per aiutare le persone a rimanere cognitivamente sane mentre invecchiano”.
“Chiunque può impegnarsi nell’autoriflessione e potenzialmente aumentare la propria auto-riflessione, poiché non dipende dalla salute fisica o da fattori socioeconomici”, ha aggiunto la ricercatrice. Lo studio ha utilizzato dati trasversali (piuttosto che riportare i risultati degli interventi dello studio) di due studi clinici, Age-Well e SCD-Well, che hanno coinvolto un totale di 259 partecipanti con età media di 69 e 73 anni. I volontari reclutati per gli studi hanno risposto a domande sulla riflessione, misurare quanto spesso pensano e cercano di capire i propri pensieri e sentimenti.
Il team di ricerca ha dichiarato che i volontari che hanno partecipato alle ricerche e hanno dimostrato una maggiore predisposizione all’autoriflessione, avevano una migliore cognizione e un miglioramento del metabolismo del glucosio, come mostrato dall’imaging cerebrale. Il team di scienziati non ha trovato alcuna associazione con la deposizione di amiloide, l’accumulo di proteine cerebrali dannose legate al morbo di Alzheimer.
Studi pregressi hanno dimostrato che le capacità di autoriflessione possono essere migliorate con un intervento psicologico recentemente testato e gli studiosi hanno dichiarato che un tale programma potrebbe essere utile per le persone a rischio di demenza. Harriet Demnitz-King ha spiegato che: “Altri studi hanno scoperto che uno stile di pensiero autoriflessivo porta a una risposta allo stress più adattiva, con prove che mostrano anche miglioramenti nelle risposte infiammatorie allo stress e una migliore salute cardiovascolare, quindi questo potrebbe essere il modo in cui l’autoriflessione potrebbe migliorare la nostra resilienza contro il declino cognitivo “.
I ricercatori hanno specificato che mentre i loro risultati suggeriscono che l’impegno nell’autoriflessione aiuta a preservare la cognizione, non possono escludere che potrebbe invece essere che le persone con una migliore cognizione siano anche più in grado di riflettere su se stesse e hanno aggiunto che sono necessarie ulteriori ricerche longitudinali per determinare la direzione della causalità.
“Sebbene siano necessarie ulteriori ricerche per comprendere appieno le implicazioni di questa scoperta, se l’autoriflessione sembra avere un effetto positivo sulla funzione cerebrale, c’è la possibilità che un giorno potremmo ridurre il rischio di demenza con trattamenti psicologici che aiutano le persone a costruire in modo sano modelli di pensiero. Il numero di persone affette da demenza nel Regno Unito è destinato a salire a 1,6 milioni entro il 2040: il governo che si impegna a raddoppiare i finanziamenti per la ricerca sulla demenza assicurerà che i ricercatori possano esplorare ogni modo per ridurre il rischio”, ha concluso Marchant.
Per quanto riguarda l’Italia, Mario Possenti, Segretario Generale della Federazione Alzheimer Italia, ha dichiarato: “In Italia arriviamo tardi: per capirci, non ci sono neppure finanziamenti o sovvenzioni specifici, né regionali né nazionali, sul Piano Demenze. Mancano supporti e presupposti. Si aggiunge un basso riconoscimento della demenza come priorità di salute pubblica”.
“E’ necessario intervenire su due fronti: sulle comunità, in primo luogo, con strategie in grado di creare contesti che siano “Dementia friendly”, pronti dunque ad accogliere le persone malate, e aiutarle a conservare le loro capacità residue, ma anche lavorare sulle famiglie, per evitarne l’isolamento. C’è un forte stigma verso queste patologie, che va scardinato se vogliamo pensare a comunità integranti e preparate”.
“L’iniziativa de “Il paese ritrovato” si muove proprio in questa direzione. Spesso anche il familiare-caregiver si sente abbandonato, talvolta prova vergogna, e così la casa diventa una sorta di ghetto, quando il malato viene gestito al domicilio. Strutture come quella di Monza allontanano l’istituzionalizzazione di queste persone, il loro ingresso nella rsa, per trovare invece nuove forme di vita. Oltre che di cura”.