Una nuova ricerca condotta dall’Università della California, Riverside, ha identificato le basi biologiche di un disturbo riproduttivo causato dalla mutazione di un gene. Questa mutazione genetica causa anche la sindrome dell’X fragile, una delle principali cause genetiche di deficit intellettivo e autismo.
I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Frontiers in Endocrinology.
Come un gene dell’autismo può contribuire all’infertilità
La squadra di scienziati ha scoperto che le mutazioni del gene della ribonucleoproteina 1 del messaggero dell’X fragile correlato all’autismo, o FMR1, contribuiscono all’insufficienza ovarica prematura, o POF, a causa di cambiamenti nei neuroni che regolano la riproduzione nel cervello e nelle ovaie. La mutazione è stata associata a infertilità precoce, a causa di un aumento del rischio di POF di 25 volte, ma le ragioni non erano chiare.
La POF è la forma più grave di invecchiamento precoce delle ovaie, che colpisce circa il 10% delle donne ed è caratterizzata da un precoce depauperamento dei follicoli ovarici e da una menopausa precoce. Con le donne che rimandano la riproduzione, aumentano le possibilità di infertilità, anche a causa della mutazione FMR1.
“Negli ultimi due o tre decenni, l’età media delle madri per la prima volta negli Stati Uniti e in Europa è costantemente aumentata”, ha affermato Djurdjica Coss, professore di scienze biomediche presso la Scuola di Medicina dell’UCR che ha guidato il gruppo di ricerca.
“Inoltre, la menopausa precoce provoca non solo infertilità precoce, ma anche un aumento del rischio di malattie cardiovascolari e osteoporosi. È importante, quindi, comprendere le ragioni alla base di questi disturbi riproduttivi ed eventualmente trovare cure. Tale ricerca può anche aiutare a consigliare meglio le donne a rischio su quando avere un figlio e come monitorare i suoi esiti di salute”.
Secondo i Centers for Disease Control and Prevention, il 19% delle coppie eterosessuali negli Stati Uniti soffre di infertilità e necessita di tecnologia di riproduzione assistita, che può essere troppo costosa per molte coppie.
“Abbiamo adottato un approccio diverso”, ha spiegato Coss: “Poiché il gene FMR1 è molto abbondante nei neuroni, abbiamo postulato che i neuroni che regolano la riproduzione siano influenzati dalla mutazione FMR1, che a sua volta provoca un aumento dei livelli ormonali. In effetti, abbiamo riscontrato una maggiore stimolazione dei neuroni nell’ipotalamo che regolano anche la riproduzione come più neuroni nelle ovaie che contribuiscono alla sintesi dell’ormone ovarico”.
Per fare la ricerca, Coss e il suo team hanno utilizzato topi transgenici privi del gene FMR1 per emulare la condizione nelle persone con una mutazione in questo gene. In primo luogo hanno determinato che questo modello di topo imita ciò che si osserva nelle donne con una mutazione FMR1. I ricercatori successivamente hanno confrontato i neuroni che regolano la riproduzione nelle ovaie e nel cervello tra questi topi e le loro controparti normali.
Gli studiosi hanno così scoperto che i cambiamenti nella funzione di questi neuroni hanno portato a una più rapida secrezione di ormoni in giovani topi femmine transgeniche che in seguito hanno smesso di riprodursi precocemente. Successivamente, hanno rimosso le ovaie da questi topi per determinare l’effetto della mutazione FMR1 solo sui neuroni nel cervello.
Coss ha specificato che studi precedenti sui disturbi riproduttivi mediati da FMR1 li hanno analizzati esclusivamente da una prospettiva endocrina, nel senso che hanno studiato i cambiamenti nei livelli ormonali e il funzionamento delle cellule endocrine nelle ovaie che li producono.
L’equipe di ricercatori ha anche determinato che i neuroni che “innervano” le ovaie, fornendo i nervi alle ovaie, erano più abbondanti nei topi transgenici che nelle loro controparti normali.
“Pensiamo che gli aumenti che vediamo nei livelli di ormoni ovarici siano dovuti all’aumento dell’innervazione ovarica piuttosto che all’aumento delle cellule produttrici di ormoni”, ha detto Coss. “La prospettiva endocrina supporta quest’ultima”.
Successivamente, Coss e il suo team hanno in programma di indagare se gli effetti della mutazione FMR1 possono essere alleviati inibendo parzialmente i neuroni nelle ovaie: “Prevediamo che questo possa normalizzare i livelli di ormone ovarico, possibilmente consentendo una normale durata della vita riproduttiva”, ha detto Coss.
Secondo l’ANGSA: “Non esistono dati certi sul numero di persone con autismo in Italia. Negli Stati Uniti vengono condotte da anni ricerche accurate, in Italia invece esistono pochissimi dati pubblici sul numero di persone con diagnosi di autismo.
Il Center for Disease Control (CDC) di Atlanta conduce da anni una ricerca epidemiologica in 11 stati USA sui bambini che via via compiono gli otto anni. Nel 2016 ha raggiunto il 18.5 per 1.000 pari a una persona con autismo ogni 54 persone.
In Italia, tenendo conto di questi dati e anche assumendo il valore minore, l’1% della popolazione (1 su 100 persone), si possono stimare, per una popolazione residente in Italia di oltre 60 milioni, almeno 600 mila le persone e quindi famiglie interessate direttamente dall’autismo.
Sulla base degli stessi valori, rispetto a 435 mila i nuovi nati in Italia nel 2020, i bambini con autismo ogni anno sarebbero oltre i quattromila”.
Secondo il Ministero della Salute: “In Italia, si stima 1 bambino su 77 (età 7-9 anni) presenti un disturbo dello spettro autistico con una prevalenza maggiore nei maschi: i maschi sono 4,4 volte in più rispetto alle femmine. Questa stima nazionale è stata effettuata nell’ambito del “Progetto Osservatorio per il monitoraggio dei disturbi dello spettro autistico” co-coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità e dal Ministero della Salute.
Nel progetto, finanziato dal Ministero della Salute – Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria la stima di prevalenza è stata effettuata attraverso un protocollo di screening condiviso con il progetto europeo ‘Autismo Spectrum Disorders in the European Union’ (ASDEU) finanziato dalla DG Santè della Commissione Europea.
Gli studi epidemiologici internazionali hanno riportato un incremento generalizzato della prevalenza di ASD. La maggiore formazione dei medici, le modifiche dei criteri diagnostici e l’aumentata conoscenza del disturbo da parte della popolazione generale, connessa anche al contesto socio-economico, sono fattori da tenere in considerazione nell’interpretazione dell’ incremento dell'”autismo.
Attualmente, la prevalenza del disturbo è stimata essere circa 1 su 54 tra i bambini di 8 anni negli Stati Uniti, 1 su160 in Danimarca e in Svezia, 1 su 86 in Gran Bretagna. In età adulta pochi studi sono stati effettuati e segnalano una prevalenza di 1 su 100 in Inghilterra.
Va ricordato che per comprendere la diversità delle stime di prevalenza è necessario considerare anche la variabilità geografica e le differenze metodologiche degli studi da cui tali stime originano”.
Simone Maestrini, coordinatore dell’associazione Omphalos di Acquaviva Picena, ha dichiarato: “Oggi la situazione per i bambini e per le loro famiglie è faticosa. Le istituzioni non sono molto presenti… il grosso dell’aiuto arriva per lo più dagli stessi genitori. Il problema è gravoso per la famiglia sia da un punto di vista piscologico ma anche e soprattutto economico.
Tutte le attività di cui necessitano i bambini hanno un costo che sicuramente è difficile da sostenere per molte famiglie; esistono i centri convenzionati ma spesso deficitano di personale qualificato. Ad esempio nella nostra realtà di OMPHALOS viene utilizzato principalmente l’approccio di intervento ABA acronimo di Applied Behavior Analysis (ovvero Analisi Comportamentale Applicata), ovvero ad oggi la terapia supportata dalle maggiori evidenze scientifiche sul piano del trattamento dei Disturbi dello Spettro Autistico.
Si ritengono l’apprendimento, la comunicazione e le abilità cognitive e sociali come comportamento e quindi come tali, possono essere modificate in un’ottica migliorativa e di maggiore adattamento al contesto.
In virtù di questo la nostra realtà è uno spazio in cui i bambini intraprendono un percorso terapeutico intensivo ed individualizzato in rapporto di 1:1 con la terapista di riferimento e non un classico centro d’accoglienza diurno in cui si è insieme per tutto il tempo. Oggi le strutture convenzionate sono poche e quelle esistenti, purtroppo, hanno un approccio un po’ blando dove i bambini vengono parcheggiati, una sorta di babysitteraggio… il che non giova alla loro situazione.
Sul tema scuola la situazione è complessa e dipende un po’ dai dirigenti: con alcuni basta una segnalazione per permettere ai nostri terapeuti di entrare nelle classi e lavorare ad unisono con gli insegnanti. In altre scuole è invece molto più complicato perché non si interfaccia la famiglia e ci dobbiamo interfacciare noi come realtà per fare poche ore di integrazione a quelle degli insegnanti curricolari o quelli di sostegn, e comunque c’è anche un’altra grande problematica che il mondo della scuola fatica a capire:
lasciare lo stesso insegnate di sostegno per diversi anni, per esempio per tutto il ciclo della primaria o della secondaria è molto terapeutico: al contrario, cambiare ogni anno, come avviene per la maggior parte dei casi, è a dir poco deleterio, senza considerare poi che, visto il bisogno di insegnanti di sostegno e la penuria che c’è di quest’ultimi, l’incarico spesso viene affidato a persone che non hanno neanche un minimo di preparazione e che fino a qualche mese prima facevano un’altra professione.
Le ore passate a scuola sono tante e sono fondamentali per i normo tipici, figuriamoci per un Bes: se ogni anno il bambino si trova a partire da zero sul piano umano ed empatico pensare che possa fare passi in avanti diventa veramente difficile”.