Una nuova e significativa ricerca condotta dal Karolinska Institutet ha rivelato che gli individui con una diagnosi di autismo presentano un rischio notevolmente maggiore di sviluppare il morbo di Parkinson in età precoce. Questo studio su larga scala suggerisce che le due condizioni, apparentemente distinte, potrebbero condividere meccanismi biologici sottostanti, aprendo nuove prospettive sulla comprensione e il trattamento di entrambe.

Autismo e Parkinson: una nuova ricerca suggerisce collegamenti biologici precoci
Per condurre questa indagine approfondita, i ricercatori hanno attinto a un vasto database di registro svedese, analizzando i dati di oltre due milioni di persone nate in Svezia tra il 1974 e il 1999. Questi individui sono stati seguiti attentamente dall’età di 20 anni fino alla fine del 2022. L’obiettivo era esplorare una possibile connessione tra il disturbo dello spettro autistico (ASD), una condizione neuropsichiatrica che influenza i processi di pensiero, il comportamento e la comunicazione interpersonale, e il morbo di Parkinson a esordio precoce, che colpisce principalmente la locomozione e il movimento.
I risultati ottenuti sono stati sorprendenti e coerenti: le persone con una diagnosi di autismo mostravano una probabilità quattro volte superiore di sviluppare il morbo di Parkinson rispetto a coloro che non avevano tale diagnosi. Questa correlazione si è mantenuta robusta anche dopo aver tenuto conto di variabili significative come lo stato socioeconomico, la predisposizione genetica a malattie mentali o al morbo di Parkinson, e altri fattori simili, rafforzando la validità dei risultati.

“Questo indica che potrebbero esserci fattori biologici condivisi alla base dell’ASD e del morbo di Parkinson,” ha affermato il primo autore dello studio, Weiyao Yin, ricercatore presso il Dipartimento di epidemiologia medica e biostatistica del Karolinska Institutet. Un’ipotesi centrale suggerita dai ricercatori è che in entrambi i casi potrebbe essere coinvolto il sistema dopaminergico del cervello.
Il neurotrasmettitore dopamina svolge infatti un ruolo cruciale sia nel comportamento sociale, tipicamente alterato nell’ASD, sia nel controllo del movimento, funzione compromessa nel Parkinson. Questa potenziale sovrapposizione nei meccanismi neurali potrebbe fornire una chiave per svelare le complesse interazioni tra queste due condizioni neurologiche.
Il ruolo della dopamina
Nel contesto dello studio che evidenzia un legame tra autismo e un aumentato rischio di Parkinson a esordio precoce, è fondamentale approfondire i meccanismi biologici ipotizzati e le sfumature metodologiche. È universalmente riconosciuto che nel morbo di Parkinson si verifica una degenerazione dei neuroni che producono dopamina. Parallelamente, sebbene necessiti di ulteriori conferme, studi precedenti hanno suggerito un possibile coinvolgimento della dopamina anche nell’autismo. Questa potenziale sovrapposizione funzionale del sistema dopaminergico è una delle ipotesi chiave su cui si basa la ricerca.

Come afferma il Dott. Yin, l’auspicio è che i risultati di questa ricerca possano in futuro “contribuire a fare maggiore chiarezza sulle cause profonde sia dell’ASD che del morbo di Parkinson”. Questo suggerisce un impegno verso l’identificazione di biomarcatori comuni o percorsi patologici condivisi che potrebbero aprire nuove vie per la diagnosi precoce e lo sviluppo di interventi terapeutici mirati per entrambe le condizioni.
È noto che la depressione e l’uso di antidepressivi sono frequenti nelle persone con autismo. Allo stesso modo, l’uso di farmaci antipsicotici, spesso prescritti in contesti neuropsichiatrici, è associato alla comparsa di sintomi simili al Parkinson. Quando i ricercatori hanno applicato correzioni statistiche per tenere conto di questi fattori, la correlazione tra la diagnosi di ASD e il successivo sviluppo del morbo di Parkinson è risultata meno marcata. Tuttavia, è cruciale sottolineare che il rischio è rimasto comunque raddoppiato, indicando una connessione che va oltre l’influenza di queste comorbilità e trattamenti farmacologici. Questo dato rafforza l’idea di un substrato biologico intrinseco.

I ricercatori hanno enfatizzato che lo studio si è focalizzato esclusivamente su casi di Parkinson a esordio precoce, ovvero diagnosticati prima dei 50 anni. L’età media dei partecipanti alla conclusione dello studio era di 34 anni, il che ha comportato un’incidenza complessiva del Parkinson molto bassa nel campione analizzato. Di conseguenza, sarà imperativo che studi futuri verifichino se questo rischio elevato per le persone con autismo persista anche in età più avanzata. Questa precisazione metodologica è fondamentale per delineare una comprensione completa del rischio nel corso della vita.
L’importanza della sorveglianza sanitaria a lungo termine per le persone con autismo
Considerando i risultati dello studio che evidenzia un aumentato rischio di morbo di Parkinson a esordio precoce nelle persone con disturbo dello spettro autistico (ASD), emerge con forza l’importanza di un’attenta e protratta sorveglianza sanitaria. Come sottolineato dall’ultimo autore dello studio, Sven Sandin, statistico ed epidemiologo presso il Dipartimento di epidemiologia medica e biostatistica del Karolinska Institutet, “I servizi sanitari devono tenere sotto osservazione a lungo termine le persone con disturbi dello spettro autistico, un gruppo vulnerabile con elevata comorbilità e un uso elevato di psicofarmaci”.
Questa raccomandazione non è casuale: le persone con ASD presentano spesso un quadro clinico complesso, caratterizzato dalla coesistenza di diverse condizioni mediche e psichiatriche (comorbilità), che può essere ulteriormente complicato dall’uso frequente di farmaci psicotropici. Tale complessità richiede un approccio proattivo e integrato alla cura, mirato non solo alla gestione dei sintomi primari dell’autismo ma anche alla prevenzione e al riconoscimento precoce di patologie correlate, come il Parkinson.

Nonostante il rischio quadruplicato di sviluppare il Parkinson prima dei 50 anni nelle persone con autismo, è fondamentale contestualizzare questo dato per evitare allarmismi ingiustificati. Sandin aggiunge un’importante precisazione: “Allo stesso tempo, è importante ricordare che una diagnosi di Parkinson prima dei 50 anni è molto rara, anche per le persone affette da autismo.” Questo significa che, sebbene il rischio relativo sia significativamente più alto rispetto alla popolazione generale non autistica, il rischio assoluto di una persona autistica di sviluppare il Parkinson in età precoce rimane comunque basso.
Ad esempio, se il rischio di Parkinson precoce nella popolazione generale fosse di 1 su 100.000, un rischio quadruplicato per una persona con autismo significherebbe 4 su 100.000. Sebbene sia un aumento notevole, la probabilità individuale rimane contenuta. Questa prospettiva è cruciale per i clinici e le famiglie, in quanto consente di mantenere un livello di vigilanza adeguato senza generare ansia eccessiva. L’obiettivo non è instillare paura, ma promuovere una maggiore consapevolezza e incoraggiare pratiche sanitarie che privilegino il monitoraggio continuo e l’intervento tempestivo, qualora necessario.
Lo studio è stato pubblicato su JAMA Neurology.