Un nuovo studio condotto dai ricercatori dell’UC Davis MIND Institute conferma che lo sviluppo del cervello nelle persone con autismo differisce da quelli con il tipico sviluppo neurologico. Queste differenze sono legate a geni coinvolti nell’infiammazione, nella risposta immunitaria e nelle trasmissioni neurali. Cominciano nell’infanzia e si evolvono nel corso della vita.
I risultati dello studio sono stati riportati si PNAS.
Autismo: ecco a cosa sono dovute le differenze cerebrali
Circa un bambino su 44 negli Stati Uniti riceve una diagnosi di autismo. Gli individui con autismo possono comportarsi, comunicare e apprendere in modi diversi dalle persone neurotipiche. Man mano che invecchiano, spesso hanno difficoltà con la comunicazione e l’interazione sociale.
I ricercatori miravano a capire come comunicano i neuroni nel cervello e l’interazione tra età e autismo. Hanno studiato le differenze genetiche nei neuroni cerebrali nelle persone con autismo in età diverse e le hanno confrontate con quelle con sviluppo neurotipico.
Studi precedenti hanno dimostrato che alcune regioni del cervello segnano un eccesso precoce, seguito da riduzioni di volume, connettività e densità cellulare dei neuroni man mano che le persone con autismo invecchiano fino all’età adulta.
“L’eccesso iniziale e l’eccessiva connettività dei neuroni possono rendere il cervello più vulnerabile all’invecchiamento precoce e all’infiammazione, che può portare a ulteriori cambiamenti nella struttura e nella funzione del cervello “, ha detto la co-autrice Cynthia Schumann.
Schumann è professore di neuroscienze presso il Dipartimento di Psichiatria e Scienze Comportamentali. È affiliata all’UC Davis MIND Institute. “Capire come il cervello di una persona con autismo cambia nel corso della vita fornirà opportunità per un intervento precoce “.
I ricercatori hanno analizzato i tessuti cerebrali di 27 individui deceduti con autismo e 32 senza autismo. L’età di questi individui variava tra 2 e 73 anni.
I tessuti sono stati prelevati dalla regione del giro temporale superiore (STG), un’area del cervello responsabile dell’elaborazione del suono e del linguaggio e della percezione sociale.
“L’STG svolge un ruolo fondamentale nell’integrazione delle informazioni. Aiuta a fornire un significato a ciò che ci circonda. Nonostante la sua importanza, rimane relativamente inesplorato”, ha commentato Schumann. “Volevamo capire come stanno avvenendo i cambiamenti molecolari in questa parte critica del cervello nell’autismo”.
Il team ha analizzato i tessuti cerebrali e i neuroni isolati utilizzando tecniche di microdissezione a cattura laser. Hanno studiato l’espressione dell’mRNA a livello molecolare nel tessuto STG e nei neuroni isolati. L’mRNA traduce il codice del DNA in istruzioni che il meccanismo cellulare può riconoscere e utilizzare per produrre proteine per diverse funzioni corporee.
Lo studio ha identificato 194 geni significativamente diversi nel cervello delle persone con autismo. Di questi geni, 143 hanno prodotto più mRNA (upregolati) e 51 ne hanno prodotti meno (downregolati) nei cervelli autistici rispetto a quelli tipici.
I geni sottoregolati erano principalmente collegati alla connettività cerebrale. Ciò potrebbe indicare che i neuroni potrebbero non comunicare in modo efficiente. Troppa attività nei neuroni può far invecchiare più velocemente il cervello negli individui autistici.
Lo studio ha anche trovato più mRNA per le proteine da shock termico nei cervelli autistici. Queste proteine rispondono allo stress e attivano la risposta immunitaria e l’infiammazione.
Lo studio ha identificato 14 geni nel tessuto STG sfuso che mostravano differenze dipendenti dall’età tra individui autistici e neurotipici e tre geni nei neuroni isolati. Questi geni erano collegati alle vie sinaptiche, immunitarie e infiammatorie.
Ad esempio, nei cervelli tipici, l’espressione del gene HTRA2 è molto più alta prima dei 30 anni e diminuisce con l’età. Nei neuroni STG delle persone con autismo, i livelli di espressione di questo gene iniziano a diminuire e aumentano con l’età.
“I cambiamenti nell’HTRA2 sono stati implicati nella perdita di cellule neuronali e nelle funzioni cellulari, come il corretto ripiegamento delle proteine e il riutilizzo e il riciclaggio dei componenti cellulari”, ha spiegato la co-autrice Boryana Stamova, professore associato presso il Dipartimento di Neurologia. È anche affiliata al MIND Institute. “Il ruolo di HTRA2 è vitale per la normale funzione cerebrale”.
I ricercatori hanno anche scoperto diversi modelli di infiammazione nei tessuti cerebrali autistici. Diversi geni immunitari e correlati all’infiammazione erano fortemente sovraregolati, indicando una disfunzione immunitaria che potrebbe peggiorare con l’età.
Lo studio ha indicato una diminuzione correlata all’età nell’espressione genica coinvolta nella sintesi dell’acido gamma-aminobutirrico (GABA). GABA è un messaggero chimico che aiuta a rallentare il cervello. Funziona come un neurotrasmettitore inibitorio.
“Il GABA è noto per produrre un effetto smorzante nel controllo dell’iperattività neuronale nell’ansia e nello stress. Il nostro studio ha mostrato alterazioni dipendenti dall’età nei geni coinvolti nella segnalazione del GABA nel cervello delle persone con autismo”, ha detto Stamova.
Lo studio ha trovato prove dirette a livello molecolare che la segnalazione dell’insulina era alterata nei neuroni delle persone con autismo. Ha anche notato significative somiglianze nelle espressioni dell’mRNA nella regione STG tra le persone con autismo e quelle con malattia di Alzheimer. Queste espressioni possono essere collegate a una maggiore probabilità di declino neurodegenerativo e cognitivo.
“I risultati del nostro studio sono davvero importanti per capire cosa sta succedendo nel cervello delle persone con autismo. Identificare questi cambiamenti nel tempo ci dà l’opportunità di pensare ad alcuni interventi che potrebbero essere più utili in determinati periodi”, ha detto Schumann.
In Italia, secondo il Ministero della Salute: “Si stima 1 bambino su 77 (età 7-9 anni) presenti un disturbo dello spettro autistico con una prevalenza maggiore nei maschi: i maschi sono 4,4 volte in più rispetto alle femmine.
Questa stima nazionale è stata effettuata nell’ambito del “Progetto Osservatorio per il monitoraggio dei disturbi dello spettro autistico” co-coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità e dal Ministero della Salute. Nel progetto, finanziato dal Ministero della Salute – Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria la stima di prevalenza è stata effettuata attraverso un protocollo di screening condiviso con il progetto europeo ‘Autism Spectrum Disorders in the European Union’ (ASDEU) finanziato dalla DG Santè della Commissione Europea.
I disturbi dello spettro autistico (dall’inglese Autism Spectrum Disorders, ASD) sono un insieme eterogeneo di disturbi del neurosviluppo caratterizzati da deficit persistente nella comunicazione sociale e nell’interazione sociale in molteplici contesti e pattern di comportamenti, interessi o attività ristretti, ripetitivi.
Le caratteristiche della sintomatologia clinica possono essere estremamente eterogenee sia in termini di complessità che di severità e possono presentare un’espressione variabile nel tempo. Inoltre, le persone nello spettro autistico molto frequentemente presentano diverse co-morbilità neurologiche, psichiatriche e mediche di cui è fondamentale tenere conto per l’organizzazione degli interventi.
Gli studi epidemiologici internazionali hanno riportato un incremento generalizzato della prevalenza di ASD. La maggiore formazione dei medici, le modifiche dei criteri diagnostici e l’aumentata conoscenza del disturbo da parte della popolazione generale, connessa anche al contesto socio-economico, sono fattori da tenere in considerazione nell’interpretazione di questo incremento.
Attualmente, la prevalenza del disturbo è stimata essere circa 1 su 54 tra i bambini di 8 anni negli Stati Uniti, 1 su160 in Danimarca e in Svezia, 1 su 86 in Gran Bretagna. In età adulta pochi studi sono stati effettuati e segnalano una prevalenza di 1 su 100 in Inghilterra.
Va ricordato che per comprendere la diversità delle stime di prevalenza è necessario considerare anche la variabilità geografica e le differenze metodologiche degli studi da cui tali stime originano”.
Marco Pontis, docente di Pedagogia e didattica speciale delle disabilità intellettuali e dei disturbi generalizzati dello sviluppo e di Pedagogia e didattica speciale per la collaborazione multiprofessionale presso l’Università di Bolzano, ha dichiarato rispetto alla comunicazioni tra genitori e figli e insegnanti e alunni con autismo:
“In primo luogo, la necessità di costruire un linguaggio comune tra genitori, familiari, docenti e professionisti educativi, sociali e sanitari, che consenta loro di potersi confrontare e di lavorare realmente insieme, in modo pedagogicamente e scientificamente corretto, per favorire l’inclusione di tutti, compresi gli alunni con disturbi dello spettro autistico.
Lavorando quotidianamente con e per le persone con bisogni educativi speciali e con le loro famiglie da numerosi anni ormai, mi son reso conto che i familiari e i professionisti spesso fanno un’enorme fatica a trovare soluzioni efficaci e inclusive personalizzate.
Oggi possiamo contare su diversi interventi educativi evidence-based finalizzati a valorizzare le potenzialità e i punti di forza degli alunni, a ridurre o eliminare alcune difficoltà specifiche (percettive, sensoriali, cognitive, comunicative e relazionali) e a costruire alleanze concrete in rete, capaci di favorire un miglioramento significativo della qualità di vita delle persone.
Ho dunque pensato creare uno manuale operativo, basato sulle più recenti evidenze scientifiche in ambito medico-psico-pedagogico e sociale, che possa aiutare sia i docenti che gli altri professionisti a scoprire e comprendere come osservare attentamente le caratteristiche, le abilità acquisite o emergenti, le difficoltà specifiche o le competenze in via di acquisizione della singola persona con autismo per progettare interventi coerenti ed efficaci.
Si tratta di uno strumento teorico-pratico che può aiutare genitori e professionisti a scoprire le metodologie, le strategie e gli strumenti didattici più idonei per Marco, Giuliana o Emanuele (e non genericamente per l’autismo) e a predisporre un Piano Educativo Individualizzato e un Progetto di Vita quanto più inclusivo, ecologico e auto-determinato possibile, anche alla luce dei recenti cambiamenti normativi introdotti dal Decreto interministeriale n°182 del 29 dicembre 2020.
Nel testo vengono inoltre suggerite alcune buone pratiche per l’adeguata predisposizione dei nuovi modelli di PEI su base I.C.F. (Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità).
Per chi volesse approfondire ulteriormente il tema suggerisco la lettura del manuale di D. Ianes, S. Cramerotti e F. Fogarolo (a cura di), Il nuovo PEI in prospettiva bio-psico-sociale ed ecologic,, a cui ho avuto l’opportunità e il piacere di contribuire con un capitolo sull’osservazione della relazione alunno-contesti per la progettazione degli interventi.
Poiché l’alunno con autismo è un alunno di tutti i docenti di classe e ciascuno di essi può fare davvero tanto per aiutarlo, anche con semplici e piccole attenzioni quotidiane.
Se tutti i docenti predisponessero le lezioni (per tutto il gruppo classe) sulla base dei principi della Progettazione Universale per l’Apprendimento (Universal Design for Learning) e della differenziazione didattica, qualsiasi lezione, laboratorio o attività didattica, potrebbe divenire più accessibile, utile e stimolante per tutti (compresi gli alunni con disabilità o altri bisogni educativi speciali).
Nei prossimi anni, potrebbero essere proprio i docenti curricolari a «fare la differenza» nella didattica quotidiana per tutti gli alunni, anche quelli, di cui ancora si parla troppo poco, che hanno dei bisogni educativi particolari o delle difficoltà anche soltanto temporanee, dovute a discriminazioni di vario genere:
violenza assistita, bullismo o cyberbullismo – solo per citarne alcuni – e che hanno diritto a un Piano Didattico Personalizzato (PDP) come suggerito dalla Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012 e dalla Circolare ministeriale N° 8 del 6 marzo 2013 sugli strumenti di intervento per gli alunni con bisogni educativi speciali e sull’organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica.
Considerare attentamente il funzionamento globale di ciascun alunno, neuro-atipico o neuro-tipico, è la base di partenza per realizzare una didattica aperta, attenta alla valorizzazione dei talenti e dei punti di forza di tutti. Realizzare una didattica realmente inclusiva in modo diffuso, dalla scuola dell’infanzia all’università, significherebbe riuscire a valorizzare non solo gli alunni ma anche gli insegnanti e gli altri operatori (sanitari, sociali, educativi).
Ultimamente noto con vero piacere che molti di loro si stanno mettendo in moto per formarsi e aggiornarsi poiché credono fermamente che l’alunno con disabilità sia un alunno di tutti i docenti e non solo del docente specializzato per il sostegno (altra figura preziosissima) o dell’assistente all’autonomia (anche questa figura non è meno importante insieme a quella dell’educatore, dello psicologo ecc.) e che un buon intervento sia possibile soltanto se si condividono osservazioni, obiettivi, metodologie, strumenti e strategie in rete (famiglia-scuola-comunità e territorio).
Spesso anche noi docenti abbiamo dei bisogni speciali. In fondo, io credo che nessuno, nel corso della propria vita, per svariate motivazioni, possa ritenersi esente dall’avere delle necessità particolari che meritano attenzione e, talvolta, possono necessitare di interventi specifici.
Dobbiamo stare molto attenti a rispettare i bisogni, spesso estremamente particolari e specifici, dei nostri alunni, ricordando di metterci sempre in discussione e di interrogarci continuamente su quanto le nostre considerazioni possano esser state influenzate dai molteplici pregiudizi, stereotipi, luoghi comuni o falsi miti sui disturbi dello spettro, ancora troppo, troppo diffusi.
Appare oggi dunque imprescindibile analizzarli attentamente e sradicarli (per poterli realmente superare), condividendo e diffondendo informazioni corrette nei diversi contesti di vita del bambino e coinvolgendo più persone possibili: nonni, genitori, familiari, amici, docenti, medici, psicologi, educatori e pedagogisti, assistenti sociali, logopedisti, fisioterapisti, istruttori sportivi ecc.
Anche le parole che si utilizzano nei momenti di dialogo e confronto sono molto importanti. Dietro queste parole si celano, talvolta, idee preconcette e pregiudizievoli più o meno consapevoli. Ancora oggi, troppo spesso, anche molti validi docenti, giornalisti, conduttori televisivi o divulgatori scientifici, utilizzano termini estremamente scorretti come «ragazzo affetto da autismo», «alunno H», «bambini portatori di handicap» o «handiccapati» che riflettono una visione puramente negativa, «patologizzante» o pietistica della disabilità.
Questa terminologia scorretta e «violenta» non risulta certo in linea con i principi della Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
La Classificazione invita invece ad andare molto oltre la «diagnosi» poiché, come ormai chiaro, ogni persona è molto di più della sua diagnosi, delle sue eventuali patologie o disturbi e il suo funzionamento globale è il risultato dell’interazione di un insieme complesso di componenti e domini (condizioni di salute, funzioni e strutture corporee, attività e partecipazione sociale, fattori ambientali e personali).
Nell’introduzione del libro, ho voluto descrivere 10 cose (+1) che tutti coloro che si relazionano con persone autistiche dovrebbero tener ben presenti.
10 cose (+ 1) da sapere sull’autismo:
I bambini autistici provano tantissime emozioni: spesso le percepiscono, le elaborano e le gestiscono in modo estremamente differente dalle persone neuro-tipiche.
I disturbi dello spettro autistico NON sono causati da uno scarso affetto da parte dei genitori del bambino ma hanno un’origine neurobiologica.
L’autismo NON passa con l’età: è una condizione che comporta un funzionamento cerebrale «neurodivergente» che dura tutta la vita e di cui molte persone autistiche vanno assolutamente fiere.
Per aiutare un bambino autistico serve indubbiamente tanto amore, ma questo da solo non basta: sono altrettanto fondamentali le competenze specifiche e il lavoro di rete.
Anche le persone «a sviluppo tipico» devono cercare di compiere degli sforzi per «mettersi nei panni» delle persone neuro-diverse, non solo il contrario.
Non tutte le persone autistiche sono dei geni o dei fenomeni. La maggior parte delle persone con disturbi dello spettro autistico presenta purtroppo delle significative difficoltà cognitive, comunicative e relazionali che spesso rendono difficile la vita in totale autonomia.
Non considerate «patologici» i comportamenti di un bambino con disturbi dello spettro autistico solo perché ha una diagnosi. Spesso le persone neurotipiche non riescono a comprendere alcuni comportamenti dalla prospettiva di chi l’autismo lo vive in prima persona: alcuni di essi possono sembrare in qualche modo «sbagliati» o «da modificare», ma in realtà non lo sono affatto. Valutate attentamente quali comportamenti volete cercare di ridurre o eliminare e se è davvero il caso di farlo.
Fatevi aiutare a comprendere il funzionamento neurodiverso guardando le interviste o leggendo le tante esperienze e testimonianze di persone con autismo, oggi ampiamente disponibili.
Trovate tutti i possibili punti di forza e sfruttateli per aumentare la motivazione e il senso di auto-efficacia del bambino.
I bambini autistici NON sono «rinchiusi in una bolla»: a volte però, a causa di un sistema percettivo estremamente particolare e sensibile, hanno bisogno di ridurre al minimo gli input sensoriali.
I bambini con autismo sono una risorsa per tutti i loro compagni di classe e spesso le soluzioni educative e didattiche adottate dai docenti per venire incontro ai loro bisogni speciali risultano molto utili anche ai compagni a sviluppo tipico.
Negli ultimi vent’anni si sono indubbiamente compiuti dei progressi rilevanti in tal senso ma sono ancora troppo pochi, ad esempio, i percorsi (scolastici ed extrascolastici) specifici dedicati all’educazione alle diversità individuali, alla conoscenza, al rispetto e alla valorizzazione dei tanti possibili modi di «funzionare» di ciascuno di noi.
Mancano inoltre percorsi formativi finalizzati alla conoscenza delle emozioni, dei sentimenti, degli stati d’animo (proprie e degli altri) e della sessualità consapevole, alla scoperta dei propri meccanismi cognitivo-emotivi, di apprendimento, di relazione e socializzazione”.
Oggi è impensabile pensare di poter insegnare, in modo adeguato e rispettoso di tutti gli alunni, conoscendo e approfondendo esclusivamente i principi della propria disciplina.
Per poter essere definito «inclusivo», un insegnante deve anche conoscere e saper applicare i principi fondamentali della didattica generale, metacognitiva e inclusiva, della psicologia dell’apprendimento, della pedagogia speciale e sperimentale, deve inoltre essere in grado di progettare e realizzare percorsi formativi ed educativi personalizzati, stimolando gli alunni alla cooperazione in gruppo e all’auto-apprendimento e verificando costantemente il raggiungimento degli obiettivi di apprendimento specifici.
Stiamo attualmente lavorando alla progettazione e alla costruzione di nuovi materiali per l’infanzia e per la secondaria di primo e secondo grado, potenzialmente utili sia ai bambini che ai ragazzi e agli adulti con disabilità o altri bisogni educativi speciali.
In realtà, con gli opportuni adattamenti e le giuste personalizzazioni, quasi la totalità delle strategie, degli accorgimenti o degli strumenti, suggeriti nel libro Autismo cosa fare (e non) possono risultare utili anche ai bambini molto più piccoli (scuola dell’infanzia), ai ragazzi della scuola secondaria di primo e secondo grado o agli studenti universitari e, naturalmente, ai loro insegnanti.
Non esistono «ricette» in grado di andar bene per qualsiasi persona: ricordiamo sempre che qualsiasi suggerimento, strumento o strategia suggerita in questo o in altri libri, va sempre adattato ai bisogni specifici del singolo allievo, non soltanto in relazione alla sua età anagrafica ma anche e soprattutto al suo funzionamento specifico, ai punti di forza/abilità/difficoltà specifiche nelle diverse aree di sviluppo”.