Fin dove arriva lo sguardo umano, lo spazio continua ad affascinare, con satelliti che trasmettono, segnali invisibili che collegano continenti, e orbite geostazionarie che sembrano un sogno distante ma grazie ad Astranis ci potrebbe essere una incredibile svolta.

Sebbene per decenni quando si pensava a un satellite in orbita geostazionaria (GEO), la mente evocava ingombranti strutture, costi astronomici, tempi di costruzione che si misuravano in anni, e clienti che dovevano essere grandi governi o giganti delle telecomunicazioni, oggi, qualcosa sta cambiando: i nuovi piccoli satelliti GEO, una volta idea marginale, stanno guadagnando terreno, ridefinendo ciò che è possibile — e a quali condizioni.
Astranis, una società statunitense con sede a San Francisco, è diventata figura centrale in questo nuovo capitolo, guidata dal suo CEO John Gedmark, l’azienda sta spingendo con decisione verso la produzione su scala dei cosiddetti “MicroGEO”: satelliti più compatti, più leggeri, con costi e tempi ridotti, ma con prestazioni – specie per le comunicazioni geostazionarie – sempre più competitive.
La domanda che sorge spontanea è: che impatto reale possono avere questi piccoli GEO? Non stiamo parlando solo di un esercizio ingegneristico o di guadagni marginali, si tratta di un cambiamento potenzialmente strutturale nelle architetture spaziali, con ripercussioni su sovranità digitale, sicurezza delle comunicazioni, resilienza infrastrutturale e accessibilità nei paesi meno ricchi.
Uno spazio che non solo guarda al futuro, ma che deve misurarsi con bisogni urgenti come la connettività globale, resistività contro interferenze o attacchi, tempi di risposta più veloci, così come equità nell’accesso ai benefici derivanti dallo spazio.
Il ruolo di Astranis nel progetto MicroGEO

Astranis non è l’unica, ma è tra i più visibili esempi, per dare qualche numero, l’azienda ha già schierato cinque MicroGEO operativi, con altri cinque in produzione; si tratta di satelliti che, pur essendo molto più piccoli dei classici giganti GEO da migliaia di chilogrammi, possono fornire servizi importanti: banda larga satellitare, capacità di comunicazione per regioni remote, oppure funzioni governative in ambienti dove resilienza e sicurezza contano più che mai.
Un punto chiave sta nell’economia di scala e nell’approccio modulare, costruire un grande satellite GEO tradizionale non è solo una questione di mettere insieme hardware sofisticato, ma significa progettazione complessa, test duri, supply chain lunga, costi elevati di lancio — spesso un razzo dedicato, perché il satellite è troppo grosso per condividere la missione.
Con dimensioni più contenute e design più snelli, questi piccoli satelliti possono ridurre i costi di produzione, permettere lotti multipli, sfruttare lanci condivisi, e abbassare la barriera all’ingresso per operatori più piccoli o nazioni con budget più limitati.
Ma la riduzione dei costi non è priva di compromessi, per l’appunto le sfide tecniche sono reali: tolleranza alle radiazioni (lo spazio ad alta orbita è ostile), durata operativa, potenza trasmissiva, affidabilità, e, non ultima, la gestione del traffico orbitale e dello spettro radio (le frequenze).
Gli attori che entrano in questo spazio – aziende private, governi, organismi internazionali – devono navigare regolamentazioni complesse, investimenti iniziali, rischi tecnologici, e spesso il compromesso tra prestazioni di punta e costo-efficienza.
Allo stesso tempo, il contesto globale spinge in questa direzione, nondimeno cresce la domanda per la connettività in regioni remote, l’esigenza di infrastrutture sicure per comunicazioni governative, la spinta verso la sovranità digitale (cioè, non dover dipendere da operatori esteri o condizionamenti geopolitici per l’accesso ai servizi orbitanti). Le tensioni internazionali, le vulnerabilità mostrate da eventi naturali o interruzioni di satelliti tradizionali, richiedono soluzioni più flessibili, più rapide da dispiegare, e più distribuite.

Un segno distintivo di questa nuova generazione di piccoli GEO è il programma PTS-G del U.S. Space Force, per cui Astranis è diventata appaltatore principale, questo programma si concentra sulla comunicazione tattica protetta: satelliti geostazionari piccoli ma progettati per resistere a interferenze, attacchi, e operare anche in ambienti contestati. È un chiaro segnale che non si tratta solo di applicazioni civili o commerciali, ma anche di difesa e sicurezza nazionale.
In definitiva, questi “piccoli giganti in orbita geostazionaria” potrebbero ridefinire il modo in cui pensiamo allo spazio ad alta quota: non più come dominio esclusivo di pochi colossi, ma come campo di sviluppo in cui agilità, modularità e innovazione tecnica possono fare la differenza.
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