I ragni sono tra gli animali più diffusi e diversificati del pianeta, ma le loro origini sono ancora avvolte nel mistero, tuttavia un fossile di aracnide non identificato, ritrovato in una cava in Germania, potrebbe aiutare a svelare alcuni dei loro enigmi. Il fossile appartiene a una nuova specie di ragno, chiamata Arthrolycosa wolterbeeki, che ha vissuto nel tardo Carbonifero, circa 315 milioni di anni fa, e si tratterebbe del primo ragno paleozoico mai trovato in Germania e uno dei pochi conosciuti al mondo.
Il fossile di Arthrolycosa wolterbeeki è stato scoperto alcuni anni fa da Tim Wolterbeek, un ricercatore di geoscienze presso l’Universiteit Utrecht, che lo ha consegnato all’esperto di aracnidi fossili Jason Dunlop del Museum für Naturkunde di Berlino; una volta ricevuto Dunlop lo ha esaminato e ne ha pubblicato la descrizione su PalZ, la rivista della Società Paleontologica Tedesca.
Il fossile di Arthrolycosa wolterbeeki è quasi perfetto: conserva il corpo, le zampe, le filiere e persino i peli. Queste caratteristiche lo distinguono dagli altri aracnidi simili a ragni, come i Trigonotarbids, che non avevano filiere e quindi non potevano produrre seta, inoltre questo esemplare appartiene al sottordine Mesothelae, che comprende i ragni più primitivi e ancora viventi.
I ragni mesoteli sono noti per il loro stile di vita nelle tane, dove si nascondono in attesa delle prede, un comportamento che potrebbe spiegare la loro rarità come fossili, poiché avrebbero avuto poche occasioni di entrare in contatto con l’acqua necessaria per la conservazione.
Il fossile di Piesberg è quindi un reperto eccezionale, che offre una preziosa testimonianza della biodiversità e dell’evoluzione dei ragni nel Paleozoico, ed il suo studio potrebbe anche fornire indizi sui meccanismi molecolari e biochimici che permettono ai ragni di sopravvivere in ambienti estremi.
“Questo fossile è una grande scoperta, perché ci mostra come erano i primi ragni e come si sono adattati nel corso del tempo. Sono orgoglioso di aver collaborato con Wolterbeek, che ha dimostrato che la curiosità scientifica non ha confini disciplinari.”
ha dichiarato Dunlop.
La scoperta del fossile di Arthrolycosa wolterbeeki
Il fossile di Arthrolycosa wolterbeeki, come accennato all’inizio di questo articolo, è stato ritrovato nella cava di Piesberg, vicino alla città di Osnabrück, nella Bassa Sassonia, e si tratta di una zona geologica molto interessante, dove sono stati rinvenuti numerosi resti di piante e animali del Carbonifero.
La cava è stata sfruttata per l’estrazione del carbone e della pietra calcarea fin dal XVIII secolo, mentre invece oggi è un sito protetto e un museo all’aperto, dove si possono osservare le tracce delle attività minerarie e le formazioni rocciose.
Wolterbeek trovò il fossile nel 2018, durante una visita alla cava con un gruppo di studenti, visita nella quale notò una piccola impronta sulla superficie di un blocco di pietra così la raccolse per esaminarla meglio.
“Non sapevo cosa fosse, ma mi sembrava qualcosa di insolito. Ho pensato che potesse essere un insetto o un crostaceo.”
ha raccontato Wolterbeek.
Come detto, Wolterbeek portò il fossile a casa e scattò diverse foto con una lente d’ingrandimento, per poi in seguito inviare le immagini a Dunlop, che aveva conosciuto durante un convegno scientifico.
Dunlop ha subito riconosciuto che si trattava di un ragno –il protagonista di questo articolo, il Arthrolycosa wolterbeeki– e ha chiesto a Wolterbeek di spedirgli il fossile per studiarlo meglio, richiesta alla quale Wolterbeek rispose positivamente, con il fossile di Arthrolycosa wolterbeeki che fu spedito a Berlino.
L’analisi del fossile di Arthrolycosa wolterbeeki
Dunlop ha analizzato il fossile con diverse tecniche, tra cui la microscopia ottica, la microscopia elettronica a scansione, la tomografia computerizzata e la datazione al radiocarbonio; dopo tutta questa serie di analisi, ha scoperto che il fossile misura circa 2,5 millimetri di lunghezza e 1,5 millimetri di larghezza, ed ha un corpo diviso in due parti: il prosoma, che contiene la testa e le zampe, e l’opistosoma, che contiene gli organi interni.
Il prosoma ha quattro paia di zampe, di cui il primo è più lungo degli altri, inoltre ha anche due paia di appendici anteriori: i cheliceri, che servono per mordere e iniettare il veleno, e i pedipalpi, che servono per manipolare il cibo e per l’accoppiamento nei maschi.
L’opistosoma ha una forma ovale e presenta una serie di tubercoli posteriori, inoltre ha anche tre paia di filiere – le quali sono conservate come impronte sulla pietra–, che sono gli organi che producono la seta. Dunlop ha inifine confrontato il fossile con altri ragni paleozoici e ha stabilito che appartiene al genere Arthrolycosa, che comprende altre quattro specie note da Inghilterra, Russia e Stati Uniti.
Egli ha anche determinato che si tratta di una nuova specie, che ha in seguito chiamato per l’appunto Arthrolycosa wolterbeeki in onore del suo scopritore, descrivendone la specie in un articolo pubblicato su PalZ nel luglio di quest’anno.
Dunlop ha anche datato il fossile con il metodo del radiocarbonio, che misura la quantità di carbonio-14 presente nella materia organica, ed ha scoperto che il fossile risale al Moscoviano, una fase del tardo Carbonifero, tra 310 e 315 milioni di anni fa.
L’importanza del fossile
Il fossile di Arthrolycosa wolterbeeki è importante per diversi motivi, innanzitutto è il primo ragno paleozoico mai trovato in Germania e il più antico esemplare di Araneae per questo paese, inoltre è uno dei pochi ragni paleozoici conosciuti al mondo e uno dei soli 12 che possono essere assegnati con sicurezza al sottordine Mesothelae. Questo sottordine comprende i ragni più primitivi e ancora viventi, che si distinguono dagli altri ragni per avere le filiere poste sulla parte ventrale dell’opistosoma anziché sulla parte terminale.
Infine, il fossile offre una preziosa testimonianza della biodiversità e dell’evoluzione dei ragni nel Paleozoico. Il suo studio potrebbe anche fornire indizi sui meccanismi molecolari e biochimici che permettono ai ragni di sopravvivere in ambienti estremi.
I ragni sono infatti tra gli animali più adattabili e resistenti del pianeta, e sono in grado di vivere in quasi tutti gli habitat terrestri, dal deserto alla foresta pluviale, dalla montagna alla caverna, sono capaci di sopportare temperature elevate o basse, umidità o aridità, pressione o radiazione. Sono anche in grado di entrare in uno stato di ibernazione o estivazione quando le condizioni sono sfavorevoli.
Queste capacità sono dovute alla presenza di geni e proteine che regolano il metabolismo, la risposta allo stress, la protezione delle membrane cellulari e delle macromolecole, ed alcuni di questi geni e proteine potrebbero essere stati ereditati dai primi ragni paleozoici o potrebbero essersi evoluti successivamente.
Il fossile di Arthrolycosa wolterbeeki potrebbe aiutare a rispondere a queste domande, confrontando il suo genoma con quello dei ragni moderni, e questo potrebbe anche avere implicazioni per le applicazioni biotecnologiche o mediche, sfruttando le proprietà dei ragni per produrre seta artificiale, veleno terapeutico o antifreeze naturale.
La vita e l’evoluzione dei ragni
I ragni sono tra gli animali più antichi e diversificati del pianeta e si stima che siano apparsi circa 400 milioni di anni fa, nel Devoniano, e che si siano evoluti da un gruppo di aracnidi simili a ragni chiamati Trigonotarbids.
I Trigonotarbids erano aracnidi predatori che avevano un corpo segmentato, otto zampe, due paia di appendici anteriori e un paio di filiere, non avevano però occhi, che si sono sviluppati successivamente nei ragni.
I primi ragni erano probabilmente simili ai ragni mesoteli attuali, che sono considerati i più primitivi e ancora viventi. I ragni mesoteli hanno un corpo diviso in due parti ben distinte, il prosoma e l’opistosoma, che sono collegati da un pedicello stretto. Hanno otto occhi semplici disposti in due file. Hanno tre paia di filiere poste sulla parte ventrale dell’opistosoma, che producono una seta spessa e robusta. Hanno anche un organo respiratorio chiamato libro polmone, che consiste in una serie di lamelle piegate.
I ragni mesoteli sono noti per il loro stile di vita nelle tane, dove si nascondono in attesa delle prede. Costruiscono le loro tane con la seta e le decorano con detriti vegetali o animali. Le loro tane possono avere una forma a tubo o a imbuto e possono essere lunghe fino a 30 centimetri.
I ragni mesoteli sono diffusi soprattutto nelle regioni tropicali e subtropicali dell’Asia, dell’Africa e dell’Australia. Sono stati descritti circa 100 specie appartenenti a 11 generi. Il genere più numeroso è Liphistius, che comprende 92 specie endemiche del Sud-est asiatico.
I ragni mesoteli sono considerati i rappresentanti viventi dei primi ragni paleozoici, che si sono diversificati nel Carbonifero e nel Permiano. Questi ragni sono noti solo da pochi fossili, tra cui il fossile di Piesberg.
Nel Mesozoico, i ragni hanno subito una grande radiazione evolutiva, dando origine ai due sottordini principali: i Mygalomorphae e gli Araneomorphae.
I Mygalomorphae sono ragni che hanno il chelicerio orientato verticalmente e il libro polmone posto nella parte anteriore dell’opistosoma. Sono ragni di grandi dimensioni, spesso velenosi, che costruiscono tane sotterranee o trappole a imbuto con la seta. Alcuni esempi sono le tarantole, i ragni violino e i ragni a ferro di cavallo.
Gli Araneomorphae sono ragni che hanno il chelicerio orientato orizzontalmente e il libro polmone posto nella parte posteriore dell’opistosoma. Sono ragni di dimensioni variabili, spesso dotati di ghiandole velenifere e sericolle. Costruiscono vari tipi di tele con la seta, tra cui tele orbicolari, tele irregolari, tele a foglia o a rete. Alcuni esempi sono i ragni tessitori, i ragni saltatori e i ragni lupo.
Gli Araneomorphae sono il gruppo più numeroso e diversificato di ragni, comprendendo oltre il 90% delle specie attuali. Si sono originati nel Triassico e si sono diffusi in tutti gli habitat terrestri nel Giurassico e nel Cretaceo.
I ragni sono tra gli animali più studiati e ammirati dal punto di vista scientifico e culturale. La loro biologia, la loro ecologia, la loro evoluzione e la loro relazione con l’uomo sono oggetto di continue ricerche e scoperte. Il fossile di Piesberg è un ulteriore tassello nella ricostruzione della storia di questi affascinanti aracnidi.
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