I ricercatori del Ragon Institute del Massachusetts General Hospital, del MIT e della Harvard University di Boston, durante una serie di esperimenti, hanno individuato gli anticorpi neutralizzanti ovvero una sottoclasse di anticorpi anti-HIV ampiamente protettivi che difendono il nostro organismo dalle infezioni.
Questa importante rivelazione potrebbe un giorno arricchire ulteriori ricerche sviluppate per trattare o prevenire la trasmissione dell’HIV con terapie a base di anticorpi neutralizzanti. A più di 40 anni dall’inizio della pandemia dell’HIV, gli scienziati stanno gettando nuova luce su come vengono montate le difese contro il virus, scoperte che potrebbero alla fine portare agli anticorpi neutralizzanti che fermano il virus prima che diventi una minaccia immuno-paralizzante.
I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Science Translational Medicine.
Anticorpi neutralizzanti per l’HIV: ecco come funzionano
Gli scienziati del Ragon Institute del Massachusetts General Hospital in collaborazione con i gruppi di ricercatori del Dartmouth College nel New Hampshire, hanno riferito che una sottoclasse di anticorpi IgG agisce in modo aggressivo per colpire le regioni conservate della proteina dell’involucro dell’HIV. Ciò consente agli anticorpi neutralizzanti di bloccare l’ingresso virale e guidare le risposte immunitarie contro le cellule infette.
“Gli anticorpi neutralizzanti dell’HIV sono in grado sia di bloccare l’ingresso virale sia di guidare le risposte immunitarie innate contro le cellule infettate dall’HIV“, ha dichiarato la Dottoressa Jacqueline M. Brady insieme alla sua squadra di collaboratori, che sottolineano che la sottoclasse di anticorpi innesca le attività esplosive del sistema immunitario innato.
L’immunità innata è il sistema di difesa presente alla nascita rispetto all’immunità acquisita (cellule B e T) che si evolve nel tempo. Il sistema innato è composto da una raffica di attività che forniscono protezione in vari modi, aumentando le risposte infiammatorie e inviando le difese volte a liberare il corpo dagli invasori patogeni.
Gli anticorpi neutralizzanti anti-HIV appartengono alla famiglia degli anticorpi IgG e sono divisi in quattro sottoclassi che impegnano diverse funzioni immunitarie. Tuttavia, il ruolo esatto di ciascuna sottoclasse di anticorpi neutralizzanti nell’immunità anti-HIV è rimasto poco chiaro. Nonostante questo, Brady e la sua equipe di esperti hanno studiato il ruolo di VRC07, un membro della sottoclasse IgG e un anticorpo ampiamente neutralizzante. È anche una profilassi sperimentale per l’HIV.
“Nonostante l’evidenza che l’immunità innata contribuisca alla protezione, il contributo relativo delle singole sottoclassi di IgG è sconosciuto“, hanno aggiunto Brady e il team, notando che per scoprire quale sia questo contributo, si sono rivolti a un modello animale: “Abbiamo utilizzato l’immunoprofilassi vettoriale nei topi umanizzati per interrogare l’efficacia delle singole sottoclassi di IgG durante la prevenzione della trasmissione vaginale dell’HIV“.
La squadra di scienziati ha analizzato attentamente come la modifica della sottoclasse di VRC07 abbia aumentato o diminuito la capacità di prevenire la trasmissione vaginale dell’HIV nei topi umanizzati. La serie di esperimenti ha inoltre rivelato che la sottoclasse di anticorpi neutralizzanti IgG2 era molto meno efficace nel prevenire la trasmissione rispetto alle altre sottoclassi.
Tuttavia, VRC07 con la sottoclasse IgG1 potrebbe impedire la trasmissione anche a basse concentrazioni, indicando che questa classe di anticorpi neutralizzanti potrebbe essere importante per fornire un’ampia protezione, se ingegnerizzata in una terapia. I risultati della ricerca suggeriscono che, per alcuni anticorpi ampiamente neutralizzanti, la sottoclasse IgG influenza notevolmente la protezione.
La nuova ricerca è stata sviluppata quando negli ultimi anni sono emersi dozzine di nuovi approcci per attaccare l’HIV. La possibile terapia con anticorpi monoclonali è un’area di ricerca attiva in un numero crescente di approcci diversi.
Spinti dal successo emerso nella lotta contro altre malattie infettive, gli scienziati sono stati a caccia per isolare e analizzare gli anticorpi neutralizzanti anti-HIV. Il successo è già stato confermato nell’uso di anticorpi contro l’Ebolavirus e, più recentemente, nel trattamento del SARS-CoV-2, sebbene in misura minore con le nuove varianti di Omicron.
Nei giorni scorsi, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha formulato la sua prima raccomandazione di linea guida per le terapie contro l’Ebolavirus, con l’agenzia che ha autorizzato due anticorpi monoclonali: mAb114 di Ridgeback Biotherapeutics, o ansuvimab, venduto come Ebanga; e REGN-EB3 di Regeneron, venduto come Inmazeb.
Ma nel mondo dei virus, Ebola, SARS-CoV-2 e HIV sono molto diversi e non è ancora noto se la terapia con anticorpi entrerà a far parte dell’armamentario dell’HIV. Lo straordinario successo della terapia antiretrovirale ha cambiato il decorso della malattia da inevitabilmente fatale a uno in cui l’infezione può essere gestita come una malattia cronica. Tuttavia, la terapia non è una cura definitiva.
Sviluppi emergenti che vanno dai vaccini mRNA a una varietà di potenziali terapie sono allo studio in laboratori e in studi clinici. La speranza ora è di approfondire la ricerca che alla fine estenderà le scelte terapeutiche. Una potente squadra di anticorpi neutralizzanti potrebbe comportare un’aggiunta estremamente importante alle terapie contro l’HIV, secondo quanto riferiscono gli esperti di salute globale.
“Un anticorpo HIV massimamente efficace sarà probabilmente in grado di neutralizzare un’ampia e potente e di una sostanziale
attività della funzione effettrice per massimizzare il suo potenziale per prevenire l’infezione a concentrazioni più basse“, hanno concluso Brady e il team.
Per quanto riguarda un possibile vaccino contro l’HIV, il Dottor Norberto Ceserani, medico infettivologo, ha dichiarato: “Per prima cosa dobbiamo fare una distinzione fra vaccini terapeutici e vaccini preventivi. I vaccini terapeutici contro HIV sono realizzati in modo da produrre nelle PLWHIV una risposta immunitaria specifica nei confronti del virus che ne possa tenere sotto controllo la replicazione dopo l’interruzione della ART. Sono vaccini allo studio nell’ambito di strategie terapeutiche definite di “cura funzionale” vale a dire con l’obiettivo di ottenere una soppressione della replicazione del virus che duri indefinitamente in assenza di terapia antiretrovirale“.
“Gli scienziati hanno identificato una ristretta minoranza di PLWHIV, definite “elite controllers” che sono stati in grado di controllare a lungo la replicazione del virus senza assumere farmaci, anche se molti di loro poi hanno sviluppato una progressione della replicazione virale. Questa loro caratteristica è legata allo sviluppo di una risposta di immunità cellulo-mediata (sia CD4 che CD8) rivolta contro specifiche regioni del virus HIV che sono associate al controllo della replicazione virale; modifiche all’interno di queste regioni compromettono la capacità del virus di replicarsi, pertanto queste regioni tendono a variare molto poco nei diversi virus e ciò le rende un bersaglio interessante per un vaccino in grado di innescare una risposta cellulo-mediata ad opera di linfociti T“.
“Per quanto riguarda invece i vaccini preventivi, sebbene si siano fatti molti passi avanti nella prevenzione dell’infezione da HIV nelle popolazioni a rischio, vi è più che mai la necessità di un vaccino preventivo altamente efficace, ancor più dopo la pandemia da COVID che ha sottolineato il significativo gap in campo di salute pubblica e accesso alle cure per tutti e in particolare per le persone a rischio di HIV. Le domande a cui i primi studi sui vaccini hanno cercato di rispondere sono molte: come introdurre in modo sicuro nell’organismo umano geni di HIV, quante dosi sono necessarie per avere una forte risposta immunitaria, quanto ampia è questa risposta e quanto dura nel tempo“.
“Il primo grande trial risale al 2003 (AIDSVAX) ma ha dato risultati deludenti; un secondo trial (STEP) è stato interrotto nel 2007 dopo che una analisi ad interim ha dimostrato che il vaccino non ha ridotto il rischio di infezione. Un approccio diverso è stato testato con il trial RV144 che ha utilizzato in sequenza due vaccini (ALVAC-HIV e AIDSVAX) e ha dimostrato una modesta efficacia nel ridurre il rischio di infettarsi, pari al 31%. Ulteriori studi basati su questo tipo di approccio hanno dato però risultati deludenti (Uhambo e Imbokodo). Gli studi più recenti hanno cercato un diverso approccio al problema“.
“Vi è attualmente in corso uno studio di fase 3 denominato MOSAICO che sta testando l’efficacia di un vaccino che contiene un mosaico di differenti antigeni proteici del virus in modo da produrre una risposta nei confronti di un ampio gruppo di sottotipi virali e i cui risultati sono attesi nel 2024. Un altro tipo di vaccino allo studio prevede che l’organismo produca in grandi quantità anticorpi in grado di uccidere direttamente il virus detti anticorpi ampiamente neutralizzanti o bNAbs“.
“Questo si può ottenere in diversi modi: o si stimola la produzione dei precursori delle cellule in grado di produrre i bNAbs, oppure si attivano direttamente le cellule killer (i linfociti CD8) a distruggere il virus; qui entrano in gioco i trials preclinici con vaccini ad mRNA per HIV ed in seguito alcuni studi clinici nell’uomo con l’obiettivo di arrivare ad un vaccino terapeutico per HIV. Un altro ostacolo importante è costituito dall’esistenza di un reservoir latente di virus nelle PLWHIV, cioè dalla presenza di un gruppo di cellule CD4+ che hanno nel proprio DNA la presenza di geni di HIV funzionali ma non trascritti, e che non vengono riconosciute e uccise dalle cellule CD8+“.
“Di qui la elaborazione di una strategia terapeutica che prevede la combinazione di un vaccino terapeutico associato con molecole in grado di invertire la fase di latenza (denominate LRA) e con anticorpi bloccanti, con l’obiettivo di aggredire il virus da diversi punti contemporaneamente. Su questo principio si basa il progetto di ricerca denominato HIVACAR, attualmente in corso e che valuterà questa strategia combinata nelle PLWHIV, includendo una vaccinazione ad mRNA, anticorpi bloccanti i CD4 e agenti LRA, con un arruolamento iniziato nella seconda metà del 2021“.
“Di recente è apparsa la notizia del terzo caso al mondo di eradicazione del virus HIV a seguito di un trapianto di cellule staminali ricevuto da un donatore naturalmente resistente ad HIV, in una donna che non presenta tracce rilevabili di HIV a distanza di 14 mesi dalla cessazione della ART (CROI 2022) e che aveva ricevuto il trapianto per la terapia di una leucemia. Ovviamente la strategia del trapianto di midollo non è applicabile su larga scala come cura estensiva per HIV, ma costituisce una prova del concetto che HIV può essere eradicato“.
“Diverso è il caso di un vaccino preventivo altamente efficace il cui impiego estensivo consenta l’estinguersi della pandemia da HIV. Gli scienziati sinora hanno oscillato tra ottimismo e pessimismo rispetto a questa possibilità, essendo attualmente in una fase di ridimensionamento delle aspettative. In attesa dei risultati del trial MOSAICO previsti nel 2024, qualora questi fossero positivi bisogna dire che ci vorranno diversi anni ancora per un successivo sviluppo/approvazione del vaccino stesso. Se i risultati non fossero buoni ciò non significa che la ricerca finirà. Solo gli studi clinici in corso e futuri ci diranno se i vaccini in studio saranno in grado di sviluppare una risposta immunitaria sufficientemente forte e sufficientemente ampia da prevenire o da controllare indefinitamente l’infezione da HIV“.
Secondo i dati dell’istituto superiore della sanità: “Nel 2020, sono state effettuate 1.303 nuove diagnosi di infezione da Hiv pari a 2,2 nuovi casi per 100.000 residenti. L’incidenza (casi/popolazione) osservata in Italia è inferiore rispetto all’incidenza media osservata tra le nazioni dell’Unione Europea (3,3 nuovi casi per 100.000)“.
“La sorveglianza delle nuove diagnosi di infezione da HIV riporta i dati relativi alle persone che risultano positive al test HIV per la prima volta. I dati riferiti da questo sistema di sorveglianza indicano che nel 2020, sono state segnalate 1303 nuove diagnosi di infezione da HIV, pari ad un’incidenza di 2,2 nuovi casi per 100.000 residenti. L’incidenza di nuove diagnosi di HIV è in continua diminuzione dal 2012. Nel 2020, le incidenze più alte sono state registrate in Valle d’Aosta, Liguria, Provincia Autonoma di Trento e Lazio“.
“Nel 79,9% dei casi le persone che hanno scoperto di essere HIV positive nel 2020 sono maschi. L’età mediana è di 40 anni per entrambi i sessi e l’incidenza più alta si riscontra nelle fasce d’età 25-29 anni (5,5 nuovi casi ogni 100.000 residenti) e 30-39 anni (5,2 nuovi casi ogni 100.000 residenti). Nel 2020 la maggioranza delle nuove diagnosi di infezione da HIV è attribuibile a rapporti sessuali non protetti da preservativo, che costituiscono l’88,1% di tutte le segnalazioni (eterosessuali 42,4%; MSM, Men who have sex with men 45,7%). I casi attribuibili a trasmissione eterosessuale sono costituiti per il 59,4% da maschi e per il 40,6% da femmine. Sul totale dei maschi, il 57,3% delle nuove diagnosi è rappresentato da MSM“.
Valentino Confalone, Amministratore Delegato di Gilead Sciences Italia, ha dichiarato: “Da qualche anno si parla meno di Hiv e con la pandemia questa situazione è stata ulteriormente accentuata, rischiando quindi di banalizzare la malattia e dimenticando quanto sia prioritaria in termini di salute. Le nuove generazioni, soprattutto, che non hanno vissuto il dramma da pandemia di HIV 30-40 anni fa, rischiano di dare per scontate sia la malattia che le sue conseguenze“.
In particolare, tra i giovani la scarsa conoscenza dei rischi è un tema veramente importante. Bisogna lavorare come comunità scientifica per diffondere la conoscenza, ridurre il rischio di contagio, facilitare diagnosi precoci, puntare a trattamenti efficaci e raggiungere i massimi livelli di controllo di viremia che oggi le terapie consentono”.
“L’obiettivo che ci si è dato è quello del 90% di diagnosi precoci, il 90% di trattamento in tempo rapido, il 90% di controllo della carica virale e, inoltre, il 90% di miglioramento della qualità della vita. Ma già la comunità internazionale si è data nuovi obiettivi, i “6 95”, da raggiungere entro il 2025. Quello che è successo negli ultimi anni, un po’ per la scarsa conoscenza e la mancanza di prevenzione, un po’ per il ridursi dei test causa pandemia – quasi il 47% meno – è un problema che già emergeva in passato e adesso si è acuito“.
“ È importante fare campagne di comunicazione, riprendere le diagnosi e soprattutto i test. In Italia abbiamo una stima di 120.000 persone positive e di sole 100.000 diagnosi, c’è quindi un 17% che ha un duplice problema: è contagiato e non lo sa, e quando verrà diagnosticato arriverà con una situazione immunologica già compromessa, con il rischio di una minor qualità di risposta ai trattamenti. Anche qui l’impegno di Gilead è di lavorare su campagne mirate all’aumento dell’awareness sul tema Hiv“.
si immediatamente..qualsiasi cosa..pur di uscire da questo abisso