Nel mese di Giugno l’Alzheimer’s Association osserverà l’Alzheimer’s & Brain Awareness Month per divulgare ancora di più la consapevolezza sul morbo di Alzheimer (AD) e le altre demenze. Per celebrare questa ricorrenza, l’Alzheimer’s Association ha recentemente reso nota una pubblicazione che parla in modo particolare delle percezioni errate sulla malattia descritte da individui con AD in fase iniziale.
Alzheimer: ecco quali sono gli errori comuni
l’Alzheimer è una condizione progressiva che è caratterizzata da un costante peggioramento dei sintomi della demenza nel tempo. Le persone con una diagnosi di morbo di Alzheimer sono spesso in grado di vivere in modo indipendente nella fase embrionale della malattia, ma nonostante questo hanno bisogno del sostegno dei loro caregiver per le attività quotidiane man mano che la malattia progredisce.
Attivare questa strategia con i pazienti AD è sconsigliato perché il paziente stesso si sentirà isolato e questo si ripercuoterà sull’autostima. Non solo, un atteggiamento evitante va a nutrire lo stigma che portano con sé le malattie neurodegenerative. Per questa ragione, gli esperti hanno voluto fare conoscere a più persone possibile alcune delle percezioni errate sulla malattia di Alzheimer.
• Riconoscere l’autonomia. Grazie ad un monitoraggio, più efficace, gli individui vengono sempre più diagnosticati nelle prime fasi dell’AD. È importante riconoscere che tali individui con AD in fase iniziale sono ancora in grado di vivere in modo indipendente e continuano ad avere obiettivi che potrebbero voler raggiungere. I caregiver e i familiari potrebbero aiutare le persone con Alzheimer a pianificare il loro futuro e mantenere una buona qualità della vita mentre la loro malattia progredisce.
• Una diagnosi di morbo di Alzheimer non definisce una persona. Gli individui con AD mantengono un senso di sé fino alle fasi finali della demenza e i membri della famiglia dovrebbero fare attenzione a non vederli semplicemente attraverso il prisma della loro malattia. L’AD non altera la preferenza dell’individuo per le attività o le relazioni. Gli individui con AD continuano ad assaporare attività significative della vita quotidiana, incluso l’incontro con amici e familiari, fino alle fasi successive della malattia.
“Le persone a volte si preoccupano di dire la ‘cosa sbagliata.’ La chiave, tuttavia, è parlare con la persona a qualsiasi livello sia in grado di interagire. Parla dei vecchi tempi, dei bei ricordi e di come sta andando la loro squadra sportiva preferita. Fai una passeggiata, porta i nipoti o forse semplicemente siediti e tieniti per mano. Anche nella fase terminale della malattia la comunicazione attraverso il tatto può essere potente e gratificante”, ha continuato la”esperto.
• Fluttuazione dei sintomi. I sintomi manifestati dalle persone AD possono variare da un giorno all’altro. In alcuni giorni, gli individui con AD possono mostrare una migliore funzione cognitiva e un migliore umore. Al contrario, la stessa persona può mostrare sintomi più gravi, che coinvolgono ansia, agitazione, irritabilità e una maggiore ripetizione di parole nei giorni più difficili da affrontare.
• Morbo di Alzheimer ad esordio precoce. Nonostante l’AD interessi principalmente le persone di età superiore ai 65 anni, esistono casi di persone più giovani e cioè di età inferiore ai 65 anni che ricevono una diagnosi di AD e sono circa il 5-10% dei casi complessivi. L’insorgenza di questa malattia negli individui di età inferiore ai 65 anni è indicata come malattia di Alzheimer ad esordio precoce.
La percezione che l’AD sia una condizione che colpisce solo gli individui più anziani può indurre gli individui più giovani a ignorare i sintomi dell’AD e ritardare la ricerca dell’aiuto necessario. Invece una diagnosi precoce, attiva precocemente i trattamenti terapeutici e ne rallenta la progressione.
• Comunicazione diretta. Amici o familiari potrebbero essere in difficoltà nel comunicare la diagnosi per paura della reazione dell’interessato.. Questo può spingerli a comunicare con il coniuge o chi si prende cura della salute della persona coinvolta. Tali conversazioni possono talvolta verificarsi in presenza dell’individuo con AD. Gli individui che vivono con la demenza tendono a percepire tali conversazioni come condiscendenti, rafforzando un senso di solitudine e vergogna. Invece, è più probabile che una conversazione diretta con la persona con AD sulla sua salute venga percepita come premurosa.
• Evitare il giudizio. La negazione può una delle reazioni più comuni tra amici e familiari di individui con una recente diagnosi di morbo di Alzheimer. Questo atteggiamento può manifestarsi in commenti che alludono al fatto che l’individuo è troppo giovane o sembra vivere “normalmente” per avere ricevuto una diagnosi di malattia di Alzheimer. Nonostante si stia ragionando in totale buona fede, determinati commenti possono apparire sprezzant e potrebbero non tenere conto delle difficoltà psicologiche per far fronte alla diagnosi vissuta dall’individuo con AD e la menomazione causata dalla condizione stessa.
Anche il dottor Joseph Gaugler, direttore del Center for Healthy Aging and Innovation dell’Università del Minnesota, è intervenuto: “Troppo spesso vediamo l’Alzheimer attraverso la lente biomedica della malattia, ma come sottolineano le persone che vivono con demenza, sono ancora” qui “e hanno sogni e preferenze che dobbiamo onorare”.
“È importante smantellare la stigmatizzazione della demenza che è così facilmente evidente nelle nostre comunità, durante gli incontri sanitari e come organizziamo e forniamo servizi e supporto a lungo termine. Una campagna di salute pubblica che aumenta la consapevolezza, il rilevamento e migliora la “cordialità” della demenza delle nostre comunità è un primo passo importante in tal senso”, ha spiegato Gaugler.
“Individui, pianificatori di programmi e responsabili politici dovrebbero tenere presente che le persone hanno bisogno di supporti diversi a seconda di chi sono, quali sono stati i loro interessi per tutta la vita e in quale malattia si trovano attualmente“, ha affermato il dottor Rabins.
“Troppe persone sono all’oscuro della demenza: molte ritengono che una diagnosi di demenza significhi che qualcuno è immediatamente incapace di vivere una vita normale, mentre miti e incomprensioni continuano a contribuire allo stigma e all’isolamento che molte persone proveranno.Vogliamo rassicurare le persone che la vita non finisce quando inizia la demenza”, ha spiegato Jeremy Hughes , ex amministratore delegato dell’Alzheimer’s Society.
Per quanto riguarda l’aggressività, è utile ascoltare le parole del Giovanni B. Frisoni, Professore di Neuroscienze Cliniche all’Università di Ginevra, Direttore della Clinica della Memoria presso gli Ospedali Universitari di Ginevra e consulente dell’IRCCS Fatebenefratelli di Brescia: “Generalmente si tratta di un’aggressività di tipo verbale. I casi di aggressività fisica, sebbene esistano, sono infatti abbastanza rari. Il paziente tende ad arrabbiarsi, tenere il muso, insultare o fare uso di parolacce: questi sono gli atteggiamenti che si manifestano più di frequente, e che spesso la persona non ha mai avuto prima. Gli episodi di aggressività fisica, invece, quando si verificano, di solito sono il risultato di un escalation di aggressività di tipo verbale”.
“La peculiarità di questi scatti d’ira è che nel 99 per cento dei casi sono scatenati dal familiare. Se viene lasciato tranquillo, quindi non viene sottoposto a richieste che non capisce o che non riesce a soddisfare, il paziente è sereno. Se gli viene domandato di svolgere dei compiti che non è in grado di eseguire, viene rimproverato per non essere riuscito a portarli a termine o per per averli eseguiti nel modo sbagliato, invece, potrebbe scatenarsi la rabbia”ha concluso l’esperto.
Questi consigli sono estremamente preziosi per i parenti e gli amici che si trovano ad affrontare una diagnosi di morbo di Alzheimer di un proprio caro. Non si è mai preparati ad una brutta notizia, specialmente se riguarda la salute ed in modo particolare se si parla di una malattia a decorso cronico. Provare dolore, paura e disorientamento è normale e quasi fiosolgico perciò oltre ad avere cura del proprio caro, è importante avere cura anche di sé stessi.
L’articolo è chiaro e contiene molti suggerimenti utili che, purtroppo, per essere recepiti ed essere messi in pratica, devono passare necessariamente dall’esperienza diretta. Mi trovo ad affrontare l’isolamento di mio marito,(che ha ancora voglia di socialità e amicizie); lo stigma della malattia (ma ti riconosce? mi chiedono …); e l’indifferenza delle istituzioni che non sono all’altezza di offrire i supporti necessari.
Grazie.