Il settore dell’intelligenza artificiale corre veloce, e alcune startup di Silicon Valley hanno deciso di spingere il piede sull’acceleratore anche sugli orari di lavoro. Torna così il famigerato modello 996: ufficio dalle 9 di mattina alle 9 di sera, sei giorni su sette. Risultato? 72 ore settimanali che lasciano poco spazio a vita privata e riposo.
Perché le aziende AI chiedono orari da 72 ore

Gli investimenti nel settore sono da capogiro oltre 104 miliardi di dollari nella prima metà del 2025 e la competizione è feroce. Startup e colossi tech si sfidano per arrivare primi sul mercato, e questo porta a turni massacranti. Alcune aziende filtrano i candidati già in fase di selezione chiedendo disponibilità a lavorare 996 prima ancora del colloquio.
Lavorare 72 ore a settimana non è solo “intenso”: significa vivere in modalità lavoro continuo, con conseguenze fisiche e mentali pesanti. Stanchezza cronica, stress, burnout e problemi di salute diventano rischi concreti.
Un problema anche di inclusione nel settore tech
Il 996 non colpisce tutti allo stesso modo. Chi ha responsabilità familiari, come figli o parenti da accudire, difficilmente può sostenere questi ritmi. In particolare, penalizza le donne, già sottorappresentate nella forza lavoro STEM negli Stati Uniti (circa il 35%).
La mentalità “lavora finché crolli” non è nuova nella Silicon Valley. Generazioni di programmatori sono cresciute ascoltando storie di notti insonni di Steve Jobs o Bill Gates. Oggi, una parte della Gen Z nel tech vede nel sacrificio totale una prova di dedizione. Ma la domanda è: quanto può durare?
L’ironia del settore AI
Il paradosso è evidente: il sogno dell’AI è liberare le persone da lavori alienanti. Eppure, chi questa tecnologia la sviluppa è intrappolato in condizioni simili a quelle che vorrebbe eliminare.
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